Onu, la strage del Mediterraneo 1.500 dispersi in mare nel 2011
Sono i nuovi desaparecidos. Anche se non è la mano guantata di nero di una dittatura ad aver cancellato le loro tracce, anche se la loro sparizione è oggi nel Mediterraneo e non nell’America Latina degli anni Settanta. Lo stesso si somigliano le madri tunisime che tutti i giorni da mesi si riuniscono a drappelli sotto il ministero degli Esteri a Tunisi portando al petto le loro foto. Dispersi, spariti, dimenticati. Sono oltre 1.500 i migranti, quasi tutti giovani e giovanissimi, partiti dalla Libia e dalla Tunisia, forse annegati cercando di attraversare il Mediterraneo nel 2011, anno della «primavera araba», per raggiungere l’Europa o meglio l’Italia, almeno come prima tappa. La conta ma è ancora una stima viene dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Unhcr. La portavoce, Sybella Wilkes, sottolinea come si tratti del bilancio più pesante di sempre e come questo numero di 1.500 sia stato calcolato per difetto, «potrebbe essere più alto».
Il precedente primato risaliva al 2007, quando le vittime e i dispersi furono 630. Poi i controlli alle frontiere e i pattugliamenti marittimi in Grecia e in Italia, i «contenimenti» in Libia, aveva ridotto o almeno spostato le rotte. Invece il 2011, l’anno delle grandi speranze e delle grandi libertà in Medioriente, i viaggi della speranza sulle carrette del mare sono ripresi in forza. Inclusi anche i profughi imbarcati nella Libia dell’ultimo Gheddafi come «bombe umane» contro l’Europa.
Il problema è che nessuno li cerca, questi giovani dispersi. Sono almeno 400 solo quelli tunisini. Le fragili democrazie arabe non sembrano finora aver trovato la forza per affrontare i costi delle ricerche chieste a gran voce dai familiari, caricati dalla polizia a Tunisi una settimana fa. E l’Italia, la Francia, la Grecia, Malta non sembrano più sensibili. Per i parenti rimasti senza notizie, è un calvario tra lutto e speranza che il congiunto sia ancora vivo e magari, clandestino in un Cie, non riesca a comunicare con la famiglia.
DA UNA SPONDA ALL’ALTRA
Come Faouzi Hadeji, fruttivendolo a Genova, fratello di Lamjed, partito il 29 marzo, come molti, da Sfax. È convinto di aver riconosciuto il fratello in un servizio televisivo. «Sto diventando pazzo perché l’ho visto, era a Lampedusa, ma sono nove mesi che non lo sento e non so nulla di lui». Una delle molte storie documentate dalla campagna italo-tunisina «Da una sponda all’altra: vite che contano» e dall’associazione e venticinquenovembre@gmail.com che ha avviato una petizione online e una raccolta di nomi. Su questi casi la parlamentare del Pd Livia Turco ha chiesto in una recente interrogazione una risposta urgente della ministra dell’Interno Cancellieri.
Related Articles
Svezia. I giovani afghani incrociano le gambe contro i rimpatri forzati
Dal 6 agosto il movimento Ung I Sverige occupa le piazze di Stoccolma contro i rimpatri forzati
Lettera a un bambino nato nel limbo dei profughi senza nome
Un giorno saprai dove, come e perché ti è stato tolto tutto, anche il diritto di appartenere, nei tuoi primi istanti, a chi ti ha generato.
Il cie di via Corelli finisce in tribunale: gli avvocati vogliono entrare