Omicidi colposi ovvero le morti bianche del welfare
Reggio Calabria, 22 giugno 2008: ha preso il fucile che deteneva legalmente e ha sparato due colpi da breve distanza alla testa del figlio, con problemi psichici. Il figlio è morto all’istante.
Roma, 13 luglio 2003: uccide il figlio disabile mentre dorme. Due colpi di revolver calibro 38 al torace, mentre dormiva, nel sonno. Per non farlo soffrire troppo. E per chiudere un calvario che durava da troppo tempo.
Teramo, 19 marzo 2009: uccide il figlio disabile con una fucilata. Ha ucciso con un colpo di fucile in pieno petto, il figlio Giuseppe, 37 anni, invalido psichico, in preda a un raptus di disperazione.
Pavia, 1° gennaio 2007: disoccupato uccide la madre disabile. Francesco Boario, 30 anni, ha colpito la donna con una spranga. Da tempo doveva accudirla perché gravemente malata.
Pesaro, 21 novembre 2007: una donna di 50 anni ha ucciso la figlia disabile di 22 anni tagliandole la gola con un coltello. Subito dopo la donna ha cercato di suicidarsi usando la stessa arma. La donna, depressa, soffriva per l’handicap della figlia.
Roma, Quartiere Prenestino, 29 settembre 2009: un dramma familiare ha causato due morti a Roma. Luigi Silvestri, 72 anni, ha ucciso la figlia disabile, annegandola, e poi si è tolto la vita lanciandosi dal balcone. Luigi aveva scoperto di avere un tumore.
Savona, 4 gennaio 2010: a 88 anni uccide figlio e si spara. «Era disabile, un gesto disperato».
Parma, 21 ottobre 2006: un cinquantasettenne ha ucciso la madre ottantunenne, disabile, poi si è tagliato le vene e si è gettato dal quarto piano dell’abitazione.
Pavia, 22 gennaio 2010: si uccide accanto alla figlia disabile. L’ex commerciante da cinquant’anni la accudiva ogni giorno. «Distrutto dall’angoscia».
Palermo, 22 ottobre 2010: uccide la madre disabile per non vederla soffrire. Storia di degrado e follia a Palermo: un pregiudicato toglie la vita alla madre invalida e malata.
Lucca, 9 ottobre 2011: strangola il figlio disabile. Da quasi quarant’anni si prendeva cura del figlio disabile, malato fin dalla nascita. Poi non ce l’ha fatta più: lo ha strangolato, forse per il timore di non poterlo assistere in futuro.
Citate alla rinfusa, sono solo alcune delle tante tragedie accadute in questi anni nel nostro Paese. Potremmo aggiungerne altre, altrettanto agghiaccianti come quella del settembre 2002, quando un padre, a Parma, si gettò dal terzo piano dopo avere staccato il respiratore del figlio affetto da atrofia spinale.
È fin troppo semplicistico e banale liquidarle come il frutto delle singole disperazioni, di personali drammi unani. No! Questi morti, e tutti quelli che verranno, hanno dei responsabili con nomi e cognomi. Sono i nomi di chi, ben sapendo che – e avendo avuto anche la sfrontata improntidudine di documentarlo in tanti “libri bianchi” ufficiali – il carico assistenziale è al 97% sulle spalle delle famiglie, non solo ha girato la testa dall’altra parte, ma ha fatto di peggio.
Di peggio! Ha ridotto il welfare (un nome inglese per una necessità universale) a un colabrodo, ne ha sottratto le risorse, ha lambiccato riflessioni astruse sui livelli di governo, sulle armonizzazioni, sulle ottimizzazioni, ma mai ha garantito dei livelli essenziali di assistenza, delle garanzie, dei diritti. Anzi, ha continuamente tagliato risorse, rosicchiato fondi, eliminato contributi. Considerato l’assistenza uno “spreco” che castra la competitività .
Le famiglie, tutte, sono alla disperazione. Non occorre che ce lo dica l’Istat che la soglia di povertà è stata varcata da milioni di nuclei e singoli e che molti altri ci sono vicini. Noi che viviamo la vita reale e che facciamo i conti con stipendi limitati, con i mutui, con il riscaldamento, con la disoccupazione, con la mobilità , con i figli da crescere e i genitori da accudire, lo sappiamo già fin troppo bene.
E per le persone con disabilità la situazione è ancora più tetra di quanto lo era un anno o un lustro fa. A quelle nere certezze, infatti, si aggiungono le ancora più cupe aspettative per il futuro.
È terribile, per le famiglie, prendere coscienza di non poter invocare, come fa lo Stato quando si tratta di assistenza, i limiti di bilancio. È terribile per un genitore non sapere che ne sarà domani per suo figlio. Potrà ancora permettersi di fargli frequentare un centro diurno? Potrà accantonare qualcosa per il suo futuro? Potrà morire sereno sapendo che a suo figlio qualcuno ci penserà ?
Intanto c’è la quotidianità fatta di incombenze, di emergenze, di assistenza, di sovraccarico, di annullamento della notte e del giorno. E di solitudine.
Non c’è da stupirsi che vi sia chi arriva ad uccidersi e ad uccidere. E accanto alla morte, vi sono milioni di vite in perenne tensione, senza futuro e serenità . Ma tutto questo non è inevitabile perché ha delle cause e delle responsabilità .
Le cause saranno ancora più pressanti quando questo Governo e questa maggioranza – purtroppo con scarsa opposizione – approveranno la loro “riforma” assistenziale. Alle famiglie verranno tolti “i regimi di favore fiscale” e questo signifcherà più tasse. Alle famiglie verranno ricalcolati gli ISEE [Indicatore della Situazione Economica equivalente, N.d.R.] e questo significherà una maggiore partecipazione alla spesa. Alle persone con disabilità verranno riviste le indennità di accompagnamento,restringendone la concessione. Ai Comuni verrà tagliato un miliardo di euro che usavano per i già pochi servizi assistenziali.
È la logica della sussidiarietà dell’abbandono. Se non ci abbandona lo Stato, ci pensano le Regioni, e se nemmeno le Regioni ci riescono, ci pensano gli Enti Locali. E salvo la carità di qualche ente compassionevole, che arriva dove arriva, le persone rimangono sole. Abbandonate e segregate.
Non stupiamoci dunque delle prossime morti. Ma non sono solo tristemente e semplicemente “morti”: sono degli omicidi.
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