Olimpiade, i dubbi di Monti «Enormi i rischi di sforare»

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ROMA — Il tempo e il silenzio dicono già  molto, raccontano meglio di tante supposizioni lo stato d’animo di Mario Monti di fronte alla sfida olimpica. Svelano la fortissima convinzione del capo del governo che l’Italia non possa permettersi il lusso di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Domani è l’ultimo giorno. Tokyo ha ufficializzato la discesa in campo, mentre la riserva sulla candidatura di Roma non è sciolta. Il verdetto non è stato pronunciato, è vero, ma salvo colpi di scena la Capitale non correrà  per ospitare i Giochi Olimpici del 2020.
Troppi dubbi, troppe incognite. Troppi i soldi pubblici da investire per impegnare un Paese che ha appena imboccato la via d’uscita dalla crisi. Atene 2004 insegna che le Olimpiadi sono una grande occasione, ma anche un grande rischio: non è stato proprio con i Giochi che la Grecia ha fatto il primo passo verso il default? Anche Londra ha visto raddoppiare le sue previsioni di spesa e Monti, che da giorni soppesa i costi (certi) e gli incerti benefici in fatto di crescita e sviluppo, è orientato a negare la garanzia dello Stato per i 4,7 miliardi di spesa pubblica previsti e l’eventuale sforamento. Con la conseguenza che la mancata firma della lettera di impegno economico, da consegnare entro domani al Cio, farebbe decadere la candidatura. Ma poiché il pressing è fortissimo, nell’Italia che vuole i Giochi c’è anche chi confida in un ripensamento dell’ultima ora, magari con una firma in zona Cesarini. Resta il fatto che in ambienti del governo prevale lo scetticismo, il fastidio per il pressing su una questione ritenuta più d’inciampo che di incentivo alla corsa dell’esecutivo e la convinzione, nel merito, che il ritorno economico dell’evento sia stato, in molti casi, sovrastimato. «I rischi di sforare il budget sono enormi» è l’ossessione di Monti, che ha studiato con scrupolo l’esperienza di Londra e quella di Atene. E che ha «molto apprezzato», raccontano, le parole con cui un campione del calibro di Pietro Mennea ha definito «una follia» l’idea di candidare Roma in tempi di vacche magre. E poi, ragionano nell’esecutivo, come si fa a puntare sulle Olimpiadi quando non ci sono sufficienti risorse per finanziare la riforma del mercato del lavoro? Oggi il dossier olimpico, col suo delicato corredo di speranze e tensioni, approderà  in Consiglio dei ministri, dove non mancano orientamenti favorevoli ma prevale la cautela. Monti ha invitato tutti a non sbilanciarsi e la sua squadra ha fatto un passo indietro, lasciando che sia il presidente a dare l’indirizzo decisivo. 
Il premier ha ben chiaro l’impatto della scelta. Ha sentito quanto insistenti possano essere le pressioni della società  civile — dal mondo dello sport a quello dell’economia — e sta valutando anche le mosse della politica. Le quattro mozioni a sostegno della candidatura presentate da Pd e Pdl, Terzo polo e Popolo e Territorio, lo hanno convinto a prendersi un supplemento di riflessione: salvo la Lega Nord, i partiti sono per il sì. Ma nessuno, su questo può contare il premier, farà  le barricate per imporre i Giochi. Dal Pdl Monti ha avuto rassicurazioni sul fatto che il partito accoglierebbe di buon grado anche una decisione negativa. E la stessa comprensione è certo di ottenere dal Pd.
Di ben diverso tenore, in caso di rifiuto, sarà  la reazione del sindaco Gianni Alemanno, ma anche questo il capo del governo lo ha messo nel conto. La tensione tra Campidoglio e Palazzo Chigi è alta, sembra che il premier sia a dir poco irritato per la caparbietà  con cui il primo cittadino lo ha tirato per la giacca, gridando urbi et orbi il suo ottimismo («Sono fiducioso») e arrivando ad annunciare, via agenzie di stampa, un incontro che per la presidenza del Consiglio non è mai stato in agenda. In serata con un brusco comunicato Palazzo Chigi chiarisce che «non c’è mai stato alcun incontro in programma». Né ieri, né oggi. Ma il Campidoglio insiste.


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