Obama a Karzai: “Scusa per il Corano bruciato”
NEW YORK – Barack Obama, il leader del mondo libero, si scusa per il rogo del Corano e dall’altra parte del pianeta Maruf Hotak, 60 anni, sceso in strada a Kabul per protestare tra migliaia di persone, agita i pugni in aria. «Gli errori li ammettono sempre. Bruciano il nostro Corano, e si scusano. Offendono i nostri morti, e si scusano» dice alludendo all’orrore dei marines che urinavano sui cadaveri. «Ma non puoi offendere il nostro libro sacro, non puoi uccidere i nostri bambini» continua, ricordando gli otto ragazzini morti la scorsa settimana in un attacco per errore: «Non puoi fare tutto questo e poi offrire le tue piccole scuse».
Non puoi. Ma le scuse che il presidente Usa ha inviato al collega afgano Hamid Karzai, dopo quelle del capo delle forze Nato John Allen, dopo quelle del capo del Pentagono Leon Panetta, non sono piccola cosa: in piena campagna elettorale, con gli arrabbiati di destra che lo accusano di inchinarsi all’estero, i repubblicani che lo accusano di aver rinunciato a imporre l’imperiale pax americana, la lettera con cui Barack esprime «rammarico» e chiede «scusa per l’incidente in cui materiale religioso è stato involontariamente maltrattato» pesa come un macigno. Karzai lo sa e chiama anche lui «involontario» il rogo, dice che gli Stati Uniti «faranno di tutto per evitare il ripetersi dell’episodio» e «punire i responsabili». C’è già il nome di un alto ufficiale Usa nel mirino. Ma le scuse che pesano come un macigno sono nulla a confronto delle pietre che la gente continua a lanciare contro la stessa polizia afgana. «E come posso rimproverarli?» sbotta col New York Times il capo della sicurezza di Kabul, generale Mohammed Ayoub Salangi: «Hanno il diritto di protestare contro chi disonora il nostro sacro Corano».
Hanno anche diritto di uccidere? Almeno una ventina sono i morti, tra militari e dimostranti, dopo tre giorni di scontri. Gli ultimi a cadere sono stati due soldati americani: uccisi dal fuoco che dovrebbe essere amico. Proprio per vendicare il rogo del Corano un soldato afgano ha sparato contro gli alleati della Nato uccidendo i due yankees. Siamo al caos. A Jalalabad sono ancora soldati Nato e afgani insieme a sparare sulla folla infuriata. Ma non sono solo i Taliban a soffiare sul rogo. «Gli americani sono degli invasori e la jihad è un obbligo» urla in pieno Parlamento il poco onorevole Abdul Sattar Khawasi.
Sembra una maledizione del destino che tutto sia nato dal rogo per errore di quei libri davanti alla prigione di Bagram. Quella stessa fortezza che durante gli anni più bui della guerra svelò gli abusi degli americani. Quella stessa base-prigione che gli afgani rivorrebbero indietro ma che gli Usa – che pure non vedono l’ora di lasciare tutte le grane a Karzai – non vogliono mollare. Lì dentro ci sono 3mila pericolosissimi detenuti: pronti mica a scendere in strada per protesta ma a fuggire in montagna. Per riprendere quella guerra che l’America vorrebbe lasciarsi alle spalle: e il rogo del Corano ripropone davanti agli occhi di tutto il mondo.
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