Nuovo martirio per il Tibet Giovane monaca si dà  fuoco

by Editore | 13 Febbraio 2012 8:51

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PECHINO — Diciotto anni. La vita di Tenzin Choedon si è fermata qui. Era una novizia del monastero femminile di Mamae, prefettura tibetana di Aba, in Sichuan. Sabato si è data fuoco. Secondo alcune testimonianze era ancora viva quando soldati e poliziotti l’hanno portata via. Per gli attivisti di Free Tibet la donna sarebbe poi deceduta, dodicesima vittima di un’ondata di gesti estremi che in un anno ha fatto registrare almeno 22 episodi. Del sacrificio di Tenzin Choedon ha parlato anche International Campaign for Tibet. Per Pechino, invece, un motivo di imbarazzo alla vigilia della visita del vicepresidente Xi Jinping a Washington e del vertice sino-europeo di Pechino.

L’ennesimo suicidio si è svolto con modalità  analoghe a quelle di molti altri. Gli slogan gridati contro il governo di Pechino, a sostegno del Dalai Lama e della «libertà  per il Tibet», quindi le fiamme e l’intervento degli agenti. Subito dopo, uomini in divisa hanno stretto un cordone intorno al monastero di Mamae, che ha una tradizione di intransigente lealtà  al Dalai Lama e dal quale proveniva anche una ventenne suicida in ottobre. Il timore che l’approssimarsi del Capodanno tibetano, 22 febbraio, porti con sé un intensificarsi degli atti dimostrativi da parte di tibetani (non necessariamente religiosi) insofferenti alla presenza cinese prende ulteriore consistenza, e Aba si conferma l’area più esposta al fenomeno. Tenzin Choedon ha sigillato una settimana di tensioni e sangue. Manifestazioni, un’altra immolazione e, giovedì, la morte di due fratelli tibetani — uno dei quali monaco — braccati e circondati dalla polizia. Stando a Radio Free Asia, erano in fuga dopo aver partecipato a una protesta nella contea di Luhuo il 23 gennaio. Quattro funzionari del Partito comunista, invece, sono stati rimossi per aver abbandonato i loro posti, ovvero essere andati in vacanza, durante la settimana del Capodanno cinese. Una direttiva politica dei giorni scorsi ordinava ai dirigenti in Tibet e nelle aree tibetane di fare tutto il possibile per prevenire incidenti.
I media ufficiali hanno dato evidenza all’incontro di venerdì scorso tra il premier Wen Jiabao e il Panchen Lama nominato da Pechino (la stragrande maggioranza dei tibetani riconosce invece un Panchen Lama riconosciuto dal Dalai Lama ma preso in custodia dai cinesi nel 1995 e da allora sparito). Il primo ministro ha raccomandato di «guidare i lama e i fedeli nell’amore per la patria, ubbidendo alle leggi e agli insegnamenti buddhisti» e di «giocare una parte ancora più grande nel salvaguardare l’unità  nazionale e l’unità  di tutti i gruppi etnici».

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