by Sergio Segio | 21 Febbraio 2012 14:47
A Est, è corsa agli armamenti: tanto la Cina quanto la Russia hanno annunciato incrementi sostanziali ai bilanci militari, e danno mostra di voler regalare ai loro eserciti tanto le armi più aggiornate quanto ricerca e tecnologia.
La Cina, che da più di venti anni aumenta in modo costante il budget militare, prevede di raddoppiarlo di qui al 2015 – arrivando, secondo le analisi di IHS Jane’s (pubblicazione di intelligence militare e analisi di sicurezza e difesa) a 238 miliardi di dollari l’anno. Numero due per le spese militari nella regione è il Giappone, con appena 64 miliardi l’anno. Per un Paese che nessuno sta minacciando, si tratta di una cifra ragguardevole, e gli esperti puntano a tre principali aree che spingono la Cina a tanta preparazione (se non altro come deterrente militare). La prima è Taiwan, contro cui Pechino si è sempre riservata la possibilità di procedere ad una «riunificazione» con la forza. L’altra area dove Pechino vuole mostrarsi capace di prove di forza invece è di più complessa gestione: di nuovo i Mari del Sud, ma quelli che bagnano il Vietnam e le Filippine, che contestano alla Cina la sovranità sulle isole Spratleys e le Paracelse. Poco più in là , le isole che il Giappone chiama Senkaku, e la Cina chiama Diaoyutai: terre contese disabitate, ma che oltre a sedere su giacimenti di gas, si trovano nel mezzo di uno dei corridoi marittimi più trafficati.
Parte del budget militare andrà al programma spaziale, sempre più ambizioso, che dovrebbe vedere prossimamente un cinese sulla Luna, per non parlare degli investimenti per una possibile «guerra asimmetrica», con in prima fila gli attacchi hacker. Un particolare, però, va tenuto in conto: dal 2011 Pechino spende più per la sicurezza interna che per la difesa.
Poi, invece, c’è la Russia: il primo ministro Putin proprio ieri ha rivelato in un articolo che nei prossimi dieci anni conta di spendere 770 miliardi di dollari per più di 400 missili balistici intercontinentali, 600 aerei da combattimento, decine di sottomarini, carri armati e navi militari. Per Putin, questo è reso indispensabile da una minaccia costante da parte di chi «vuole impossessarsi delle nostre risorse», per quanto non abbia specificato di chi si tratti (l’imputato numero uno sembrano essere gli Stati Uniti, che vorrebbero una Russia «indebolita»). Quello che turba Mosca, ormai da diversi anni, è tanto l’avanzare della Nato, che ha sottratto alla sfera di influenza russa alcuni partner storici, che lo «scudo di difesa» che gli Usa, fin dai tempi di George W. Bush, hanno deciso di mettere a punto, ufficialmente contro una possibile minaccia iraniana. Mosca, invece, si sente direttamente offesa, e nell’articolo di Putin si parla di sviluppare armi capaci di penetrarlo.
Ma quando incominciano a parlare di armi, molti Stati hanno la tendenza a lasciarsi un po’ trasportare dall’enfasi: così la Russia dovrebbe mirare ad altissime tecnologie per i prossimi «30 o 50 anni», per poter rispondere alle minacce che verranno dall’affilarsi tecnologico altrui. E dunque, ecco promesse di investimenti nell’industria militare, con l’obiettivo di modernizzare tutto quello che di obsoleto pesa ancora sulla macchina da guerra russa. Vero è che l’America ha promesso di voler tornare sulla scena asiatica, e in particolar modo quella estremorientale, con l’apertura di nuove basi militari in Australia: il settore militare, a quanto pare, non conoscerà momenti di crisi.
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