Monologhi interiori per esaltare la complessità  dei semplici

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Il libro che mirava a restituire dignità  alle esperienze umane più ordinarie, in contrapposizione ai falsi eroismi della prima guerra mondiale, fu presto abbandonato dal lettore medio. Un destino beffardo volle che a non leggerlo sarebbero stati proprio quegli uomini e quelle donne comuni che intendeva celebrare. E tutto questo mentre trionfava fra artisti e accademici. Oggi poi, non lo leggono più nemmeno gli studenti, gli insegnanti e gli intellettuali. Molti dei lettori di Joyce sono ormai chiamati «joyciani» e fanno carriera nei dipartimenti delle università , mentre la maggioranza dei loro colleghi si guarda bene dall’avvicinarsi all’Ulisse. Certo, fuori continuano a esserci numerosi lettori amatoriali e autodidatti convinti: lo studiano per conto proprio, con una passione di cui non farebbero mai sfoggio per timore di sembrare pretenziosi. E ci sono però anche decine di tassisti a Dublino che, «sì, conosco i personaggi principali, ma non l’ho ancora letto tutto». Fra gli studiosi più meticolosi dell’Ulisse, invece, la tendenza, come fra gli alcolisti anonimi, è a unirsi nei gruppi di ascolto, discutendo e affrontando le sfide del libro. In tal senso è come se avesse anticipato l’istituzione dei seminari monografici universitari, nonché la nascita dei gruppi di lettura urbani, antidoto, in entrambi i casi, alla solitudine dei lettori a distanza. (…). L’Ulisse è stato dunque strappato dalle mani del lettore qualunque. Come? Con l’ascesa di specialisti pronti a dedicare anni di studio ai suoi codici segreti, per cui si servono di termini altisonanti come parallasse, indeterminatezza e tempo della coscienza. Generalmente questi specialisti lavorano in squadre. I più ripudiano il concetto di cultura nazionale e ritengono che essere colti oggi significhi essere consapevolmente internazionali e globalizzati. In questo modo hanno rimosso Joyce da quel contesto irlandese che informa molto del significato e del valore della sua opera.
Verso la metà  del Novecento l’idea di una cultura comune diffusa fu abbandonata. Eppure l’Ulisse è costruito proprio su quel concetto, avendo preso forma in un mondo che per la prima volta aveva conosciuto l’istruzione di massa e la nascita delle biblioteche per le classi sociali più umili. In queste circostanze Joyce aveva mano libera nel giocare con testi quali l’Odissea e l’Amleto, intesi non come conoscenza specialistica, ma come proprietà  collettiva all’interno di una cultura condivisa da tutti. Negli anni successivi quella cultura diffusa fu rimpiazzata dall’affermarsi delle élite di specialisti: la democrazia non era più concepita come il condividere un patrimonio pubblico di conoscenze testuali, bensì come un modo di garantire l’accesso a questo o quel gruppo di super-istruiti. Non prevaleva tanto la convinzione che chiunque fosse abbastanza brillante potesse leggere e comprendere l’Ulisse o l’Amleto, quanto l’idea che chiunque sufficientemente astuto potesse aspirare a divenire uno dei professionisti specializzati pagati per leggere quei testi. I movimenti politici odierni puntano all’inclusione delle menti più brillanti nella struttura dominante anziché alla trasformazione rivoluzionaria delle relazioni sociali. Per cui, le letture di un Joyce presunto radical prodotte dalla teoria critica degli ultimi vent’anni non hanno messo in discussione il crescente soffocamento delle università  da parte delle corporazioni baronali, né il soffocamento di Joyce da parte degli specialisti. In realtà  li hanno accelerati, poiché di rado la teoria si preoccupa di connettere l’analisi con un intervento concreto sul mondo reale.
È giunto il tempo di riconnettere l’Ulisse con la quotidianità  delle persone in carne e ossa. Mentre i modernisti più aristocratici/snob ricorrevano a tecniche più complicate affinché le masse dei nuovi istruiti non si appropriassero delle loro idee, Joyce capì che la vera necessità  era proteggere il suo libro e quelle stesse masse dalle truppe di specialisti incolti e di tecnocrati. Se alcuni modernisti vedevano nella folla un’Idra spaventosa dai tanti volti minacciosi, Joyce dal canto suo adoperò il monologo interiore per mostrare quanto di amabile, complesso e propositivo albergasse nella mente del cittadino medio. Proprio a questa figura l’Ulisse dedicò le attenzioni fino ad allora riservate ai nobili. (…)
Oggi servono lettori che sfidino l’esangue spiegazione tecnocratica dei testi: lettori amatoriali che azzardino interpretazioni non sapute e magari ingenue. Una critica sofisticata sta impedendo agli studenti di ricercare la saggezza racchiusa nella letteratura moderna. In essa inseguono gli espedienti stilistici, gli artifici retorici, gli esperimenti formali, la visione storica, quasi mai la saggezza del vissuto. L’odierno abisso fra tecnica e sentimento chiede a gran voce di essere colmato in classe, attraverso l’insegnamento e l’apprendimento.


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