by Editore | 22 Febbraio 2012 9:23
Adnan – ora in gravissime condizioni di salute (ha perduto 30 kg), per il momento resterà ricoverato nell’ospedale Ziv di Safed, in Galilea – non è riuscito però ad ottenere la liberazione immediata, così come speravano anche le molte migliaia di persone che in tutte queste settimane lo hanno sostenuto nei Territori occupati e all’estero (con manifestazioni e sit in).
Dalla prigione uscirà infatti soltanto il 17 aprile se nelle prossime settimane, hanno comunicato gli israeliani, non sopraggiungeranno elementi nuovi a suo carico. Resta perciò alto il rischio che i servizi di sicurezza israeliani riescano a trovare un motivo per tenerlo in «detenzione amministrativa» anche dopo quella data.
Ieri per diverse ore non pochi in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza hanno dubitato dell’effettiva esistenza di un’intesa tra gli avvocati di Adnan e le autorità israeliane, alla luce dei risultati parziali ottenuti dopo una battaglia tanto dura. In effetti i contorni della soluzione raggiunta non sono stati completamente chiariti. I media locali hanno riferito di un «accordo» accettato dalle parti ma la notizia è arrivata in modo confuso e diversi attivisti palestinesi hanno espresso la loro frustrazione in internet. Ieri sera, ad esempio, non era certa neanche la sospensione dello sciopero della fame da parte di Adnan, annunciato con enfasi dai media israeliani. A ciò si aggiunge l’atteggiamento dell’Anp di Abu Mazen che da un lato ha sostenuto (a bassa voce) Adnan e dall’altro ha boicottato le manifestazioni pubbliche organizzate in sostegno del detenuto in sciopero della fame. «Perché non hanno liberato Khader Adnan subito, perchè rimane ancora in prigione?», si domandava ieri Mariam Barghouti, impegnata, via Twitter, ad inviare aggiornamenti continui sulla battaglia del detenuto palestinese.
La vicenda di Khader Adnan – paragonato a Bobby Sands, il militante dell’Ira che si lasciò morire di fame contro la politica del premier britannica Margaret Thatcher – in ogni caso è servita ad alzare il velo sulla «detenzione amministrativa», usata dagli israeliani contro i palestinesi. Originariamente basata sui Regolamenti di emergenza del mandato britannico del 1945, questa misura «cautelare» è entrata ufficialmente nell’ordinamento israeliano nel 1979. Alla sua scadenza la carcerazione può essere prolungata più volte dai giudici militari, sempre e soltanto sulla base di indizi e sospetti e non di prove concrete.
Attualmente, riferisce il centro «Addameer», sono 309 i palestinesi imprigionati senza processo, tra i quali anche membri del Consiglio legislativo. 88 detenuti «amministrativi» sono rimasti in carcere per un anno, uno è in carcere da cinque anni.
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