by Editore | 2 Febbraio 2012 8:00
La linea C della metropolitana di Roma è destinata a diventare l’opera pubblica più costosa e più lenta d’Europa e del mondo. Se mai si completerà . La spesa è salita da 1,9 a oltre 5 miliardi. E il cantiere è partito nel 1990. Ma c’è pure il rischio che la linea rimanga a metà , senza la parte più importante del tracciato che dovrebbe collegare il Colosseo con piazzale Clodio passando per San Pietro. «Non è inopportuno ricordare che il cantiere di piazza Venezia è nel centro della città storica…per cui dovranno essere adottate tutte le tecniche disponibili per garantire la tutela del patrimonio archeologico, indipendentemente dai loro costi e dai tempi». Firmato Angelo Bottini, soprintendente per i beni archeologici di Roma. Questo avvertimento, spedito il 19 dicembre 2007 alla società Roma metropolitane, aiuta a capire perché la linea C della metro della capitale è destinata ad aggiudicarsi il record dell’opera pubblica più costosa e più lenta d’Europa. Probabilmente anche del mondo. Se mai si completerà . Perché il rischio che rimanga a metà , senza cioè la parte più importante del tracciato che dovrebbe collegare il Colosseo con piazzale Clodio passando per San Pietro, è più che concreto.
Questo c’è scritto in un rapporto di 182 pagine con cui i magistrati della Corte dei conti Antonio Mezzera e Antonio Bucarelli hanno fatto le pulci all’operazione. Cominciando dai costi. La storia della metro C comincia 22 anni fa, nel 1990. Doveva essere pronta per il Giubileo del 2000, ma si parte davvero soltanto nel 2001, con l’inserimento nella famosa legge obiettivo. All’inizio doveva costare un miliardo 925 milioni. Poi il conto è salito a 2 miliardi 683 milioni. Quindi a 3 miliardi e 47 milioni. Per arrivare, oggi, a 3 miliardi 379 milioni. Ma senza considerare 485 milioni di maggiori esborsi per quattro arbitrati già aperti, altri 100 milioni appena stanziati dal Cipe e il miliardo 108 milioni delle cosiddette «opere complementari» per la tutela archeologica. Totale: 5 miliardi e 72 milioni, il 163,5% in più rispetto alle stime iniziali. Che potrebbero però salire a 6 miliardi, triplicando le cifre di partenza, se il rincaro della tratta Colosseo-Clodio sarà in linea, ammonisce la Corte dei conti, con quello registrato per il resto della linea. E per ottenere un risultato ben diverso da quello previsto, se come si è ipotizzato verranno soppresse alcune stazioni intermedie, fra cui proprio quella di piazza Venezia.
Si sta così materializzando la profezia di Mario Staderini, attuale segretario radicale all’epoca consigliere comunale di Roma che insisteva sul pericolo di andare a sbattere contro numeri ciclopici. Questi: sia pure con le modifiche al ribasso, il costo della tratta incriminata non sarebbe comunque inferiore ai 273 milioni al chilometro. Il doppio rispetto ai costi europei, con una media che oscilla fra 120 e 150 milioni. Ma senza quelle modifiche si potrebbe arrivare a 434 milioni: tre volte tanto.
E i tempi? Per il completamento della parte fino al Colosseo non se ne parlerà prima del 2016. Il pezzo rimanente è nelle mani di Dio: qualche tempo fa si parlava del 2018, ma il progetto definitivo non c’è ancora. «Si è quindi verificato», ci dicono i magistrati, «un ulteriore slittamento a data da definirsi».
C’è da arrossire al pensiero della nuova linea del metrò di Madrid, realizzata in appena 36 mesi. La morale, amarissima, si condensa in una domanda: il sistema Italia è in grado fare opere pubbliche di questa complessità ? La realtà dice di no, aggiungendo anche la metropolitana romana alla lunga lista dei fallimenti della legge obiettivo che si poggia sul pilastro del general contractor, un unico soggetto nelle cui mani viene messo il boccino dell’operazione con l’idea di garantire costi e tempi certi.
Nella fattispecie, la società Metro C. È un consorzio composto con il bilancino, come si faceva ai tempi d’oro degli appalti pubblici. Ci sono i privati: Caltagirone e Astaldi. Una vecchia conoscenza delle partecipazioni statali: l’Ansaldo. E le coop: Ccc di Bologna e Cooperativa muratori braccianti di Carpi. Tutti consapevoli del ruolo che svolgono. Al punto che nel 2010 Metro C spunta fra i finanziatori del Popolo della libertà , partito del premier Silvio Berlusconi e del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Cui versa un contributo liberale di 50 mila euro. Notizia che da sola farebbe fare un salto sulla sedia. Ancora più sorprendente, però, è il miracolo delle coop che indirettamente finanziano il Cavaliere. Proprio lui che aveva annunciato di voler andare in tribunale «per denunciare lo sconcio dell’intreccio tra sinistra e cooperative» in qualità di «avvocato accusatore».
I soci di Metro C gestiscono il 15% dei lavori: il restante 85% è ripartito fra 2.400 ditte subappaltatrici. Il che non ha mancato di creare qualche problemino, come ha sottolineato la stessa Roma Metropolitane, segnalando «il caso clamoroso di un’impresa affidataria per la quale l’istruttoria della direzione lavori aveva dato esito positivo, nonostante l’attestazione soa (l’abilitazione a operare, ndr) della medesima impresa fosse scaduta e non ancora rinnovata».
Eppure Roma di questa opera avrebbe bisogno come il pane. La città è letteralmente strangolata dalle macchine: un quinto della sua superficie è occupata da vetture in sosta o in movimento. Mentre «l’uso dei mezzi collettivi rappresenta» nella capitale, sottolinea la Corte, il 28,2% della «mobilità motorizzata», contro il 67,7% di Barcellona, il 63,6% di Parigi, il 47,7% di Londra e il 47% di Milano.
Le verità , affermano i magistrati contabili, è che il Cipe ha sottovalutato i costi reali. Ma a questo si sono aggiunti molti altri fatti. Alcuni davvero assurdi. Intanto, appena un anno dopo la firma del contratto, è scoppiato il contenzioso sfociato in una serie di arbitrati. Un pezzo del tracciato coincidente con un tratto di linea ferroviaria appena ristrutturato «con notevolissimi ritardi» al termine di lavori iniziati addirittura nel lontano 1995, poi, è stato chiuso e rifatto «rendendo inutili alcune opere realizzate in dieci anni». Per non parlare di alcune follie. Come quella dei 115 milioni di interessi pagati sui mutui bancari, mentre somme ingentissime «non utilizzate» sono «giacenti presso la tesoreria dello Stato». O quella dei contributi regionali disponibili ma non erogati.
La Corte dei conti stigmatizza poi il fiorire di comitati vari, tutti regolarmente retribuiti. Il solo «corrispettivo autorizzato per le attività » del Comitato tecnico scientifico «ammonta a complessivi» 4,1 milioni. Ma è al capitolo collaudi che vengono riservati i commenti più ustionanti. Perché secondo i magistrati contabili quei compiti avrebbero dovuto essere affidati non all’esterno e «intuitu personae», bensì a personale interno a una struttura, quella di Roma metropolitane, «anche in considerazione che si tratta di una società che grava sul bilancio di Roma capitale, costituita da circa 180 persone, in gran parte ingegneri e tecnici». Tanto più, aggiunge la Corte dei conti, in considerazione «dei compensi percepiti dai collaudatori». Circa mezzo milione ciascuno. Al presidente della commissione, l’ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, 516.614 euro. Comprensibile che per avere quegli incarichi si siano scatenate pressioni di ogni tipo. L’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, per esempio, aveva caldeggiato senza però spuntarla la nomina del provveditore alle opere pubbliche: Angelo Balducci.
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