Mediobanca e l’Oro di Bankitalia

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La Cassa depositi e prestiti (Cdp) e l’oro della Banca d’Italia possono essere utilizzati come armi non convenzionali per attaccare il debito pubblico. È questo il suggerimento che Mediobanca Securities consegna oggi al ministero dell’Economia attraverso un rapporto di 60 pagine, firmato da Antonio Guglielmi, responsabile dell’ufficio di Londra.
Mediobanca non consiglia di vendere sic et simpliciter le partecipazioni residue dello Stato, stimate (generosamente) in 132 miliardi dal bilancio pubblico, e gli immobili delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche (432 miliardi in teoria), ma di monetizzare questi attivi per quanto possibile e in modo da conservare al venditore l’opportunità  di futuri guadagni quando i mercati tornassero al rialzo. 
Il rapporto si inserisce nel dibattito aperto in seno al governo Monti su come e quanto si possa abbattere il debito pubblico. Un po’ tutti si rendono conto che, senza ridurre la spesa per gli interessi passivi (tuttora troppo alta), i margini per le politiche di crescita resteranno esigui e sarà  arduo ottenere un avanzo del 3% l’anno per 20 anni così da riportare il rapporto debito/pil al famoso 60%.
Mediobanca punta sulla Cdp perché la vede ancora capace di indebitarsi in sicurezza per cifre importanti conservando la sua caratteristica di soggetto a controllo pubblico ma non inserito nel perimetro della pubblica amministrazione, il cui debito viene considerato nel Trattato di Maastricht. La Cdp, scrive Guglielmi, è oggi la «banca» italiana con il migliore ritorno sul capitale (20%) e soprattutto appare più sicura delle consorelle francese e tedesca, perché meno indebitata e più redditizia.
La Cdp si finanzia al 97% sul mercato retail emettendo obbligazioni e libretti di risparmio con garanzia dello Stato (207 miliardi in tutto) tramite la rete di Poste Italiane. La Caisse des Dépots et Consignations (Cdc) raccoglie il 38% dei suoi mezzi dai fondi pensione dei professionisti e dal mercato finanziario. La Kreditanstalt fà¼r Wiederaufbau (Kfw) si finanzia interamente sul mercato istituzionale con obbligazioni che pagano gli stessi interessi dei Bund perché, come i Bund, garantite dallo Stato.
Con le risorse postali, la Cdp fa mutui ai comuni, finanzia il Tesoro italiano e i suoi fondi nonché, per il 7,5% del bilancio, acquisisce partecipazioni. La Cdc ha il 62% degli attivi in titoli pubblici e partecipazioni. La Kfw impiega il 59% delle sue disponibilità  in finanziamenti agevolati alle disastrate banche regionali tedesche (e questo spiega perché la cancelliera Angela Merkel va cauta sulla Grecia: le perdite delle Landesbanken sui titoli di Atene rimbalzano sul Tesoro, tramite la Kfw). Ora, secondo Guglielmi, la Cdp potrebbe acquisire le migliori partecipazioni dello Stato in imprese quotate e non quotate per 50 miliardi di euro, secondo il progetto già  allo studio in Cdp e reso noto dal Corriere che fa leva su Sace e Fintecna. Ma la Cdp potrebbe anche acquisire una parte delle riserve auree della Banca d’Italia, il cui valore ha ormai superato il 130 miliardi, grazie alla costante rivalutazione del metallo giallo. Diciamo altri 50 miliardi. Ma come pagherebbe la Cdp? Qui scatta il suggerimento. Cdp potrebbe trovare non 100 ma anche 200 miliardi emettendo obbligazioni destinate agli investitori istituzionali italiani e non, come già  fa da sempre la Kfw. Queste nuove obbligazioni avrebbero probabilmente un rating migliore dei Btp, perché garantite non già  in via generica dallo Stato, ma in via specifica dall’oro e dalle partecipazioni in aziende capaci di garantire flussi di cassa abbastanza stabili (con l’eccezione di Finmeccanica e Stm).
Onorati i pagamenti verso il Tesoro e la Banca d’Italia, la Cdp avrebbe una somma cospicua, raccolta a costi stracciati, per sostenere le dismissioni immobiliari. Secondo Mediobanca Securities, il mattone potrebbe portare ai conti pubblici un beneficio fino a 90 miliardi: una trentina dai fondi immobiliari che verrebbero lanciati a partire dal 2012 dagli enti locali, proprietari del grosso del patrimonio; 10 miliardi dalla razionalizzazione degli uffici pubblici, dove lo spazio è suddiviso nella misura di 50 metri quadri a dipendente medio contro i 20 del settore privato e i 10-12 delle migliori gestioni internazionali; 50 miliardi infine dalle vendite che vanno bene se non implicano poi il riaffitto dei locali. Per conseguire tali risultati ci vogliono alcuni anni e capacità  gestionali. Pensare a cessioni rapide è mera illusione, dopo le cartolarizzazioni Scip 2 e l’esperienza del Fip e con un mercato immobiliare che oggi muove 4 miliardi l’anno, nel disinteresse dell’estero. Toccherebbe dunque alla Cdp o ad altri soggetti promuovere un fondo o più fondi che rilevino questo patrimonio e ne affidino la gestione a soggetti professionali esterni. La novità  sarebbe una Cdp che finanzia a tasso agevolato gli acquirenti delle quote dei fondi, famiglie incluse, grazie alla sua conveniente provvista. 
Se si obietta che, con tali trasferimenti, verrebbe meno una parte delle garanzie del debito pubblico esistente, Mediobanca Securities ricorda che verrebbe cancellata una quota equivalente di debito pubblico. Quanto invece al dualismo tra le nuove obbligazioni Cdp e quelle del Tesoro, in piazzetta Cuccia sommessamente ricordano come per anni le obbligazioni della stessa Mediobanca abbiano pagato interessi inferiori ai titoli di Stato. Senza tragedie per nessuno. Ma non era mai accaduto che una banca privata s’inoltrasse nel terreno minato dell’oro della banca centrale. E neppure che si suggerisse, come fa Mediobanca Securities alla fine del rapporto, un uso politico della sua idea al tavolo del fiscal compact: se questa sostituzione di debito non si può fare Stato per Stato, che le risorse messe così in evidenza possano essere almeno portate a copertura degli eurobond accelerandone l’emissione. Con iniziative comuni.


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