Massa anonima in cerca di sicurezza

by Editore | 16 Febbraio 2012 9:04

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Uno dei principali temi di dibattito politico, sociologico e storiografico del Novecento ha riguardato lo sviluppo e il ruolo dei ceti medi. Considerati da Marx come una componente sociale ed economica destinata a scomparire sotto i colpi dei processi di proletarizzazione che lo sviluppo del capitalismo avrebbe portato con sé, essi, al contrario, si sono espansi a dismisura negli ultimi cento anni, soprattutto nella loro frazione intellettuale e impiegatizia. Tanto da divenire l’ago della bilancia sociale nella lotta tra democrazia e autoritarismo, tra conservazione e mutamento: la conquista del consenso e della fedeltà  dei ceti medi – un magma sociale ed economico declinabile essenzialmente al plurale – è diventata la principale posta in gioco per l’egemonia e la direzione della società . 
Questa chiave di lettura sociopolitica, largamente dominante per decenni anche nel nostro paese, si legava strettamente con un altro tema fondamentale: quello della società  di massa. L’espansione dei ceti medi avrebbe prodotto l’omologazione culturale, la scomparsa delle tradizioni popolari e il definitivo trionfo della società  dei consumi. Il bel libro di Enrica Asquer Storia intima dei ceti medi (Laterza, Euro 20) utilizza un approccio metodologico storico e etnografico per offrirci un affresco sulla vita privata dei ceti medi italiani, durante gli anni del boom economico. 
La ricerca della Asquer, a metà  tra storiografia e sociologia, mette a confronto i percorsi biografici e gli stili di vita di alcune famiglie di ceto medio di un centro e di una periferia degli anni Sessanta: Milano e Cagliari, sfondo e premessa di quella storia orale delle soggettività  che costituisce il cuore dell’indagine. Due sono gli spunti di riflessioni che questo lavoro, ricco di suggestioni, informazioni e un’accurata opera di riflessione su documenti e testimonianze, suscita. Innanzitutto, la problematizzazione della tesi dell’omologazione culturale: da una parte in entrambe le città  emergono tratti comuni, entrati a far parte dell’esperienza di vita di milioni di persone negli anni Cinquanta e Sessanta, per ciò che riguarda i percorsi di transizione alla vita adulta e l’organizzazione delle biografie famigliari. Lo studio, il lavoro, il matrimonio e la nascita dei figli, costituiscono i tipici momenti in cui si articolano le vite degli intervistati. In più, in tutte le famiglie intervistate l’etica del lavoro, della sobrietà  e del primato della collettività  famigliare sui desideri dei singoli, costituisce una grammatica altrettanto profonda e ineluttabile. 
Tuttavia, accanto a questi elementi, l’esperienza narrata dei ceti medi milanesi e cagliaritani appare differenziata da una modalità  totalmente diversa di costruire il proprio rapporto con la società  circostante: mentre a Milano prevale un panorama più individualizzato, centrato sul primato dell’azienda, anche nel tempo libero, rispetto ad altri ambiti sociali, a Cagliari un ruolo fondamentale era svolto dalla visibilità  e dal riconoscimento sociale all’interno della comunità . Orientamenti collettivi che, ragionando sui grandi modelli teorici di riferimento, mettono in contrapposizione le considerazioni di Mills sui colletti bianchi, calzanti per Milano, alle analisi di Veblen sull’ossessione per l’«invidia del vicino» nelle classi medie cagliaritane. 
Il secondo elemento interessante è rintracciabile nelle narrazioni delle donne e della loro costruzione identitaria di genere: in un panorama generale di lontananza dal movimento del ’68, che rivela un modo di sentire probabilmente maggioritario nella memoria e nell’identità  degli italiani, oltre ogni sopravalutazione costruita ad uso e consumo degli intellettuali, le donne intervistate ci mostrano il volto di una «femminilità » problematica, spesso dolorosa, alla ricerca costante di un protagonismo interno ai modelli culturali allora dominanti. 
L’ideologia della complementarietà  dei ruoli di genere, si traduce infatti o nella difficile gestione della «doppia presenza» da parte delle (poche) donne occupate. Oppure nel dominio della routine quotidiana, delle giornate sempre eguali, del tempo che è scivolato via veloce, nei frastagliati ricordi delle casalinghe. Mentre i mariti mantenevano una loro vita dopo il matrimonio, questo non accadeva nel caso delle mogli, tuttavia pienamente aderenti all’idea che il lavoro di cura domestico e dei figli spettasse esclusivamente a loro. Ciò che sorprende è la voglia di riscatto e di protagonismo che non si indirizza verso una critica del modello tradizionale di famiglia ma verso la povertà  della vita intima di coppia. 
La condivisione delle emozioni, del tempo libero e, in contro-luce, di desideri e fantasie, si rivela quel terreno in cui si concentrano i rimpianti maggiori delle donne intervistate e, allo stesso tempo, il luogo di rivendicazione di una diversa soggettività , che ambisce a mutare il fondamento stesso dei rapporti di coppia. Insomma, la ricerca della Asquer offre un contributo particolarmente interessante ad una tematizzazione non ideologica del ruolo e delle trasformazioni dei ceti medi, che non possono essere comprese, anche nei loro comportamenti politici, anche ora che questa categoria sta probabilmente evaporando, solo attraverso chiavi di lettura macro-economiche o macro-sociologiche.

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