Marchionne sogna l’Est alle strategie di Fiat serve un alleato in Asia

by Editore | 20 Febbraio 2012 10:24

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Qui la rimonta della Chrysler brucia le tappe e offre la storia di una risurrezione di successo proprio in tempo per la campagna elettorale di Barak Obama, accusato dai repubblicani di aver prestato soldi del contribuente ai manager di Detroit. Al sud, nelle città  e nei piccoli centri del Mercosur, prosegue il successo della Fiat brasiliana, l’unico posto al mondo dove il marchio di Torino produce utili in quantità . E’ il nuovo continente il polmone di denaro per il Lingotto. Perché se si dovessero guardare i bilanci in rosso delle attività  europee o quelli sempre futuribili delle attività  asiatiche, la conference call di Sergio Marchionne del 1 febbraio scorso sarebbe stata una via crucis di dati e previsioni negativi. Invece il consolidamento dei conti di Auburn Hills (per quanto parziale perché comprende solo il periodo giugnodicembre) consente di presentare un utile netto di 1,7 miliardi di euro. Che si riducono a 800 milioni se si esclude l’effetto di proventi straordinari e della valutazione di due equity swap su stock option. 
La Fiat ha portato al bilancio un utile netto pari a zero. Risultato importante se si considera che i marchi del Lingotto hanno operato in mercati molto difficili, campanello di allarme se si aggiunge che il pareggio è dovuto agli effetti positivi del mercato brasiliano. Le previsioni per il 2012 dicono di ricavi pari a 77 miliardi, in linea con il 2011 se si considera che lo scorso anno l’apporto dei sette mesi di consolidamento di Chrysler è stato di 23,6 miliardi e che nei prossimi 12 mesi il Lingotto prevede ancora un mercato europeo in calo. L’utile netto dovrebbe invece salire a 1,4 miliardi.
Che il 2012 sarà  un anno difficile, forse il più difficile dall’inizio della crisi, Marchionne lo ha ripetuto più volte nelle ultime settimane. L’ad del Lingotto ha anche aggiunto che «l’anno della verità  sarà  il 2013» quando Torino si dovrebbe presentare sul mercato con nuovi prodotti come l’Alfa Giulia e la nuova Punto. La Giulia dovrebbe essere commercializzata anche negli Stati Uniti, un ritorno atteso ormai da un decennio. Nei prossimi 1215 mesi il destino del Lingotto sarà  dunque soprattutto legato alla nuova Panda, lanciata all’inizio dell’anno e prodotta a Pomigliano, e al debutto a marzo, al Salone di Ginevra, della Cinquecentona, come viene chiamata la 500 L, versione large prodotta in Serbia. 
Il vero nodo da sciogliere per Torino è la prospettiva dopo la fusione con Chrysler che dovrebbe avvenire il prossimo anno. C’è innanzitutto un problema di equilibrio, di pesi nell’impero di Marchionne. Che oggi si regge sulle due gambe americane ma che non potrà  farlo all’infinito. Innanzitutto perché la gamba sudamericana non potrà  continuare a pompare denaro come ha fatto fino ad oggi. Anche senza voler inseguire fino in fondo i dubbi delle agenzie di rating come S&P, è evidente che la concorrenza in Brasile e Argentina si sta facendo già  oggi più forte e che una competizione agguerrita nel Mercosur non potrà  che avere come conseguenza la riduzione dei margini rispetto agli anni scorsi. In secondo luogo, anche la corsa di Chrysler non potrà  proseguire nei prossimi anni ai ritmi degli ultimi mesi, effetto sì della nuova gamma ma anche dal confronto con gli anni più duri della crisi di Detroit.
Così quando, fisiologicamente, le due gambe americane porteranno meno utili di oggi, la situazione europea rischierà  di pesare ben più di oggi nei conti di Torino. Da qui l’esigenza, sottolineata da Marchionne anche al recente Salone di Detroit, di una nuova alleanza per allargare il perimetro e raggiungere nuovi mercati. E’ bene chiarire subito che al momento non risultano trattative seriamente avviate con potenziali partner.
Marchionne ha fatto spesso riferimento all’Europa parlando di sovracapacità  produttiva e di un panorama che avrebbe bisogno di ulteriori fusioni tra i produttori. Un’alleanza strategica in Europa presenta però per Torino alcune difficoltà . L’ipotizzata fusione con i francesi di Psa sembra oggi piuttosto difficile. Le sovrapposizioni nella gamma delle utilitarie tra i due gruppi imporrebbero un programma draconiano di tagli di stabilimenti e di personale che difficilmente il governo francese potrebbe accettare anche nel caso di una rielezione di Sarkozy all’Eliseo. Certamente l’alleanza con Psa consentirebbe alla Fiat di essere meno dipendente dal mercato italiano in Europa avendo accesso oltralpe a una rete di vendita decisamente superiore all’attuale. Difficile invece immaginare a una somma matematica delle quote di mercato che porterebbe il nuovo gruppo a ridosso di Volkwagen con il 16% delle vendite europee. 
Se la strada di una partnership finanziaria con i francesi è ardua, non meno semplice si presenta l’ipotesi di un nuovo assalto alla Opel. Non solo per le diffidenze già  incontrate nel 2009 proprio da Marchionne, ma anche perché oggi, a differenza di allora, Fiat è Chrysler e difficilmente, nel derby di Detroit, Gm volendo cedere la sua costola europea la venderebbe a una delle altre concorrenti del Michigan.
Rimane dunque la soluzione asiatica. Perché se è vero che bastano tre gambe per tenere in piedi un tavolo, è altrettanto vero che con quattro quel tavolo è più stabile. 
In questi anni l’Asia è stato il tallone d’Achille del Lingotto. Cina, Russia e, in parte, anche India sono stati altrettante fonti di preoccupazione e di tentativi falliti. Un esito imprevisto considerato il fatto che in Cina e in Russia Fiat era arrivata molto prima dei suoi concorrenti. Che invece oggi realizzano nell’Est del mondo ottimi guadagni. Nella sola Cina Volkswagen ha venduto nel 2011 tante auto quante ne ha vendute il gruppo Fiat (esclusa Chrysler) in tutto il mondo. Oggi nell’area l’alleato più forte del Lingotto è Ratan Tata, che siede anche nel cda di Torino. Ma proprio in India la collaborazione ha mostrato recentemente qualche crepa. Fiat sperava di trarre maggiori vantaggi dalla rete commerciale del secondo gruppo indiano. I negozi molto orientati (com’è inevitabile) al pubblico low cost hanno invece finito per penalizzare i prodotti dell’alleato europeo.
In queste condizioni si fa sempre più forte l’ipotesi di un’alleanza con Suzuky. Che attraverso la controllata Maruti è leader nel mercato indiano e potrebbe aprire a Fiat le porte dell’Oriente. Una partnership che provocherebbe l’inevitabile divorzio della casa giapponese con Volkswagen: oggi i tedeschi sono proprietari di un pacchetto del 20% ma tra i due gruppi è in corso un duro braccio di ferro anche legale. I giapponesi vogliono riprendersi la quota e hanno nel frattempo stretto i loro rapporti industriali con Fiat: «Ho un ottimo rapporto con la famiglia Suzuki ha detto in novembre Marchionne al settimanale inglese Autocar sono un costruttore che genera profitti, sono coraggiosi». 
Già  oggi Fiat collabora con la casa giapponese nella produzione del fuoristrada Sedici. In autunno la Fiat ha firmato con Suzuky un accordo per la vendita di motori diesel. La mossa ha fatto infuriare Volkswagen ed è diventata un altro dei motivi che spingono verso la rottura tra tedeschi e giapponesi. Osamo Suzuky ha chiesto in dicembre l’arbitrato di un tribunale inglese promettendo di rivelare «tutta la verità » sui termini dell’accordo. E presentando così il braccio di ferro con i tedeschi: «Nessuno va a un incontro di sumo pensando di perdere». Che sia imminente il divorzio e un nuovo matrimonio dei giapponesi con l’amante italiana?

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