Marchionne: nuove «condizioni» per restare in Italia. Il governo tace

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Il governo Monti tace, il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera dice che forse ci sarà  un incontro. Eppure l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler torna a chiedere «condizioni chiare» per mantenere la produzione in Italia, anche se poi impedisce ai tre operai di Melfi di rientrare al lavoro, sentenza chiarissima e disattesa. Quali sono allora queste «condizioni», che pure sembravano già  esserci dopo la fine del contratto nazionale firmata tra azienda e sindacati esclusa la Fiom? «Io non posso – ha fatto sapere da Bruxelles Marchionne parlando da presidente dei costruttori europei (Acea) – continuare a perdere soldi in Europa semplicemente per mantenere un sistema industriale in piedi che economicamente non ha base». Ma questo valeva anche due anni fa, quando il mercato europeo era già  in discesa, lui prometteva 20 miliardi di investimenti e cominciava a imporre Fabbrica Italia. Che voglia libertà  di licenziare e basta? «Condivido in larga parte le preoccupazioni» del presidente della Bce, Mario Draghi «sul fatto che il sistema di welfare, così come lo abbiamo vissuto in Europa, deve essere ripensato e ridimensionato completamente», ha detto ancora Marchionne. «Sfortunatamente gli europei si devono rendere conto che il mondo è un posto incredibilmente piatto. Noi tutti siamo cresciuti pensando che il mondo fosse rotondo, ma chiunque gestisce una multinazionale si rende conto che il mondo è assolutamente piatto. Ddobbiamo essere abbastanza aperti da riconoscere che la sfida è altrove e non possiamo continuare a ignorarla. Quindi penso che sia giunto il momento di rimboccarci le maniche», per risolvere (a modo suo) i problemi del mercato. Dove, ha sottolineato, c’è una sovracapacità  produttiva a livello europeo del 20%. «Credo – chiude il manager- che il governo Monti in poco tempo abbia fatto un grandissimo lavoro per spostare in avanti l’agenda del paese. Bisogna dargli ancora tempo per vedere come riusciamo a chiudere questa partita». 
«Bisognerebbe smetterla di farsi chiedere delle cose dall’ad di Fiat», ha replicato a distanza la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, e invece «il governo, in nome e per conto di questo Paese, dovrebbe chiedere all’ad di Fiat che cosa fa per investire in Italia». Marchionne intanto investe ancora all’estero: ieri è stata resa nota una lettera d’intenti firmata con la russa Sberbank per la produzione in due stabilimenti in Russia di Jeep, «spero entro il 2013». L’auspicio è comprensibile: la banca russa, governata da un ex ministro dell’economia molto vicino a Vladimir Putin, si era messa di traverso nel 2009 contro la Fiat per l’acquisizione di Opel e poi ancora, nella trattativa con Sollers, ha cambiato cavallo lasciando Fiat e facendo chiudere l’accordo alla Ford. Come banca d’affari, non sembra il massimo in quanto ad affidabilità .
Marchionne ha infine tirato su il titolo in borsa confermando pubblicamente a Bruxelles di essere alla ricerca di un terzo partner. Eventuali alleanze in Asia con Suzuki e Mazda sono «opportunità  da esaminare», ha buttato lì, dopo aver perso la corsa (se mai c’è stata davvero) con i francesi di Peugeot-Citroen, oggi sulla via di un’intesa con Gm Europa. Fiat già  vende motori a Suzuki, il partner ideale per l’alleanza, se non fosse che i giapponesi sono legati alla Volkswagen e ora in contenzioso davanti a un tribunale di Londra.


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