Mali: l’onda Tuareg del conflitto libico porta guerra e profughi
Il movimento di indipendenza della regione Azawad, aveva diffuso già nel novembre del 2011 il suo manifesto operativo per rivendicare, anche attraverso manifestazioni popolari, l’autonomia della regione e la volontà di lottare “discretamente” per l’indipendenza.
Ben presto però la “discrezione” ha lasciato spazio ad un’escalation di violenzeche solo nella base militare di Aguelhok tra il 18 e il 24 gennaio hanno portato all’uccisione di 100 persone, soprattutto militari, ma anche civili maliani. “I tuareg armati, autori di quelle che sono state definite esecuzioni esemplari sono ex soldati dell’esercito di Gheddafi. Ora che la guerra in Libia è finita sono tornati più armati dell’esercito maliano ed è riesploso il conflitto” ha raccontato, appena rientrato dal paese africano, Fabio Ricci cooperante dell’ong Cisv a Bamako, che in Mali cura progetti di sostegno agli allevatori nella cura e nella gestione degli animali, fonte di sostentamento e di reddito in un contesto ambientale semidesertico.
“Il movimento indipendentista del nord del Mali si manifesta a fasi alterne: attacchi armati, negoziazioni, piccole concessioni del governo, periodo di calma e poi di nuovo un periodo di attacchi. Non è la prima volta che si parla di conflitto” ha continuato Ricci. “Guarda a caso il nord del Mali è un territorio che fa gola a molti. Lo stato maliano non è mai riuscito a prendere il controllo del territorio, e dunque quella regione è diventata uno spazio conteso tra movimenti indpendentisti, cellule di Al Qaeda, la Francia e i paesi confinanti”. Per Ricci gli interessi in gioco riguardano principalmente due elementi: “Il controllo di questa regione è molto fruttuoso a livello economico. Prima di tutto, è noto da diverso tempo che dal deserto del nord del Mali transitano i traffici di droga che arriva dall’America Latina e riparte per essere distribuita in Europa. Poi la zona è ricca di uranio e ultimamente è stato scoperto anche un giacimento dipetrolio”.
Così da gennaio, nel nord sahariano del Mali, gli scontri sono ripetuti e i morti da entrambi le parti (l’esercito maliano peggio armato, può però contare sull’aviazione coordinata da mercenari ucraini) si contano a decine se non a centinaia. Un clima di guerra che ha costretto alla fuga popolazioni civili prese fra due fuochi. “Non solo i tuareg – ha dichiarato l’Associazione Popoli Minacciati (Apm) – ma i songhoi, i fulani e le altre etnie del deserto – ora riparate in condizioni terribili nei paesi vicini e abbandonate a se stesse visto che in queste settimane molte ong, compreso il Cisv e l’ong Doctors of the World hanno annunciato la sospensione delle attività e il rimpatrio del personale nel nord del Mali per le condizioni di insicurezza. “Solo negli ultimi giorni – ha concluso l’Apm – 59.000 Tuareg e altre persone appartenenti ad altri gruppi etnici sono fuggiti dalla zona di crisi. Rispetto a questo nuovo esodo di massa la Comunità internazionale deve prendere urgenti e concrete iniziative di pace per il nord del Mali. Un appello del governo francese alla immediata cessazione del conflitto non ha prodotto alcuna risposta significativa.

Degli almeno 78.000 profughi più di 40.000 persone hanno cercato rifugio nei paesi confinanti col Mali. Circa 15.000 hanno chiesto protezione in Niger, 18.000 sono arrivati in Mauritania, il Burkina Faso ha accolto 8.000 persone e 5.000 persone hanno cercato protezione in Algeria. Ogni giorno un numero sempre crescente di profughi cerca rifugio nei paesi vicini”.
Mentre proseguono gli arrivi, gli operatori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unchr) stanno incrementando l’assistenza per le persone che hanno trovato rifugio in ripari improvvisati nei villaggi al confine con il Mali. “L’assistenza umanitaria è tanto più necessaria a causa della crisi alimentare in corso nella regione del Sahel, alle prese con una siccità che dura da anni – ha dichiarato l’alto CommissariatoOnu -. Le autorità mauritane ad oggi hanno registrato 18.312 rifugiati maliani, di cui 2.213 arrivati negli ultimi giorni. La maggior parte dei nuovi rifugiati proviene dalla regione maliana di Léré, mentre gli altri sono fuggiti dalle zone che si trovano tra Léré, Mopti e Timbuctu. Al momento molti rifugiati si trovano nel villaggio mauritano di Fassala, a tre chilometri da Léré”. A partire da questa settimana sarà inoltre reso nuovamente agibile il campo profughi di Mbéra, che ospitava rifugiati Tuareg negli anni ’90. Nel campo vi sono ancora numerosi pozzi d’acqua nonché diverse strutture che verranno ristrutturate per essere utilizzate come scuole ed ambulatori medici. Intanto anche la Commissione Europea e il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (Wfp) intensificheranno gli sforzi comuni per lottare contro la fame che colpisce i più vulnerabili nel Sahel, soprattutto donne e bambini rifugiati, grazie alla donazione 30 milioni di euro dedicati all’assistenza umanitaria.
La squadra d’emergenza dell’Unchr in Mauritania, inoltre, sta coordinando la distribuzione di alimenti e di altri prodotti essenziali a 5mila rifugiati e intende incrementare gli sforzi in modo da fornire assistenza ad altre persone bisognose: “acquisteremo l’equivalente di una razione di alimenti sufficiente per 15 giorni per altri 8mila rifugiati – ha reso noto l’Unchr – ed effettueremo rifornimenti di acqua nonché di forniture mediche d’emergenza raccolte dalle organizzazioni partner”. Per quanto riguarda l’assistenza umanitaria in Niger ed in Burkina Faso, l’Unchr ha garantito che “2.500 tende saranno aviotrasportate in Niger dal magazzino Unchr a Douala, in Camerun, nel corso della settimana, mentre altre 500 saranno trasportate via terra in Burkina Faso. Nel frattempo, un convoglio umanitario è partito da Accra e consegnerà 40 tonnellate di beni ai rifugiati maliani che si trovano attualmente in Niger ed in Burkina Faso”.
Ma sempre dalle informazioni raccolte dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati gli scontri, anche in questi ultimi giorni, si starebbero estendendo a Tessalit, nella regione maliana di Kidal, nonché a Tinezewadern, al confine con l’Algeria, mentrein tutto il Mali, è in corso una “caccia al Tuareg”.
“Nella capitale la guerra non è percepita direttamente, ma a partire da un paio di settimane è cominciata una sorta di caccia al tuareg, anche in altre città nel sud del paese”, ha riferito Ricci. “Sono stati bruciati negozi e attività , le famiglie dalla tinta chiara [tamasheks, arabi, mauritani e tuareg, nda] sono state costrette a scappare. Posso testimoniare di aver incontrato in aereo, in un viaggio verso la capitale del Niger Niamay, molte famiglie ricche di Bamako in fuga. Anche il Ministro dell’Agricoltura, che ha origini tuareg, ha mandato via le donne e i bambini della sua famiglia” e ha espresso in una lettera al presidente del Mali tutto il suo sgomento.
Fino ad ora poco ha potuto però anche il Presidente, Amadou Toumani Touré, che ha dichiarato alla televisione di “seguire attentamente l’evoluzione dei fatti” invitando senza successo “maliani e maliane a prendersi per mano e non confondere i ribelli con pacifici cittadini nostri compatrioti”. Così, come ha raccontato al New York Times Bajan Ag Hamatou, dignitario della città di Mékala, nell’est maliano al confine col Niger investita dall’afflusso di profughi, l’occidente, col pretesto della democrazia in Libia, ha avviato una “balcanizzazione” del Sahara: “Gli occidentali non volevano più Gheddafi e se ne sono disfatti. Ma hanno creato problemi per tutti noi. Quando vi siete liberati di Gheddafi in quel modo barbaro, avete creato altri dieci Gheddafi. E l’intera regione saharo-saheliana è diventata invivibile” spaventando non solo il Mali.
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