«Volevo rassicurare l’Aquila»

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È rimasto seduto per quasi cinque ore al posto degli imputati e dei testimoni, davanti al giudice unico Marco Billi. Ma non era né nell’una né nell’altra veste, che ieri all’Aquila Guido Bertolaso ha accettato di sottoporsi al lungo interrogatorio dei pubblici ministeri e degli avvocati nel processo che vede alla sbarra sette componenti della commissione Grandi rischi accusati di omicidio colposo plurimo per non aver fornito alla popolazione adeguate informazioni sul pericolo sismico che stava correndo prima del terribile terremoto del 6 aprile 2009 in cui morirono 309 persone. L’ex capo del Dipartimento nazionale di Protezione civile, infatti, è entrato ieri formalmente come co-indagato nel processo ai membri della Commissione che si riunirono nel capoluogo abruzzese il 31 marzo 2009. In quanto indagato in un procedimento parallelo, Bertolaso avrebbe potuto avvalersi della facoltà  di non rispondere. Ma non è nel suo stile: l’ex “uomo della provvidenza” diventa subito invece protagonista della scena. Risponde ad ogni domanda, anche quelle a cui si oppone il suo avvocato Filippo Dinacci (difensore anche degli imputati Bernardo De Bernardinis e Mauro Dolce); ma spesso inverte quasi i ruoli, interroga perfino, per nulla intimorito dalle accuse o dalla situazione.
La procura aquilana ieri ha chiesto e ottenuto dal giudice di acquisire agli atti del processo la registrazione di un’intervista andata in onda qualche settimana fa su La7 in cui Bertolaso ascoltava e commentava senza contestare o smentire l’intercettazione della telefonata (disposta per altro procedimento e dunque non acquisibile qui come prova) che egli stesso fece il giorno precedente alla riunione della Commissione all’assessore regionale con delega alla Protezione civile, la Pdl Daniela Stati, per avvisarla di aver convocato «in via straordinaria» la Grandi rischi in modo da «tranquillizzare» la popolazione. «Un’operazione mediatica», aveva spiegato Bertolaso bacchettando Stati per aver inviato all’Ansa un comunicato «demenziale» che escludeva categoricamente la possibilità  di una forte scossa di terremoto. «Non si possono prevedere i terremoti», l’aveva ripresa Bertolaso. Glielo hanno insegnato i sismologi che però secondo l’ex capo del Dpc gli hanno anche insegnato a non temere gli sciami sismici (che per mesi hanno terrorizzato la popolazione locale prima del 6 aprile) perché nel rilascio d’energia che li caratterizza diminuirebbe la probabilità  di una forte scossa. Ne è sicurissimo, Bertolaso. Lo ha «sempre ripetuto davanti a tutti, anche davanti agli imputati», assicura, «e nessuno mi ha mai corretto». Qualunque concetto scientifico però non era farina del suo sacco ma dell’Ingv, spiega, con cui è in continuo contatto tramite un «telefono rosso». Anche se poi non ha mai letto il comunicato con cui dieci giorni prima il direttore del Centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi (imputato), smentiva proprio la teoria del «rilascio lento di energia».
Peccato anche che Bertolaso non abbia ascoltato il perito di parte civile che lo ha preceduto, il sismologo Lalliana Maulchin, ex dirigente del Dipartimento Trasporti della California, tra i maggiori esperti mondiali dell’individuazione del rischio sismico. Maulchin ha escluso categoricamente che dallo sciame sismico si possa prevedere alcunché. Maulchin però spiega una cosa che al sistema di Protezione civile «che tutto il mondo ci invidia» dovrebbe essere chiara da un pezzo: e cioè che, a parte magnitudo e frequenza, per valutare il rischio sismico e la sua pericolosità  sociale bisogna tener presente le caratteristiche del territorio, la densità  di popolazione, la sicurezza degli edifici, il livello di informazione e di addestramento dei cittadini, la capacità  di reazione delle istituzioni preposte alla Protezione civile, la prevenzione messa in campo. «Troppi morti, all’Aquila, per un terremoto che non è stato poi so big», ha evidenziato Maulchin sottolineando che molto meglio sarebbe stato semmai esagerare il rischio sismico pensando soprattutto alla sicurezza delle persone.
Il discorso di Bertolaso è invece meno chiaro anche se reso corposo da molti documenti che estrae al momento giusto e da una buona capacità  espositiva: «Ho inviato i maggiori esperti di terremoto all’Aquila proprio per rassicurare la popolazione che era spaventata, disorientata e a volte in preda al panico a causa delle continue voci che diffondevano notizie contrastanti e paurose. Ma volevo tranquillizzare nel senso di dare la parola al punto di vista scientifico». Si arrampica un po’ sugli specchi anche quando cerca di spiegare che l’«operazione mediatica» stava «nell’informare i media e dunque la cittadinanza, mostrare loro che eravamo attenti e che stavamo monitorando gli eventi». La Commissione l’ha riunita lui, racconta, ma in via del tutto eccezionale (la seconda volta, negli ultimi anni, dopo quella a Gioia Tauro nel 2005, per un altro sciame sismico) perché la «Grandi rischi» in barba al proprio nome si riunisce, spiega Bertolaso, «a norma di legge solo dopo una calamità  e non prima». «Nessuna pressione sui componenti per indirizzare le conclusioni», assicura ancora. E qui il giudice Billi gli fa una domanda: «La commissione ha raggiunto lo scopo che lei si prefiggeva quando l’ha riunita?». Tranquillizzare nel senso di informare? In qualche modo sì, sembra dire Bertolaso. Ma è la risposta più balbuziente che ha dato.


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