«Uscire dall’euro è rischioso? Solo per l’oligarchia finanziaria»

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Professor Fouskas, il “risanamento” imposto alla Grecia dal memorandum di due anni fa si sta dimostrando irrealizzabile. Il governo tedesco – col pretesto dell’incapacità  dei politici ellenici di ridurre il debito – ha proposto un commissario politico europeo per Atene. Che significa questo salto di qualità ? 
Non è la prima volta che la Grecia viene assoggettata a questo tipo di controllo coloniale diretto: è già  successo dopo la bancarotta del 1893 e quella dei primi anni ’30 del secolo scorso. Parafrasando Il Gattopardo: la situazione sembra cambiata, ma tutto è rimasto uguale. Non parlerei di “salto di qualità “, come se un vero cambiamento fosse occorso dalla fase del memorandum al più recente controllo diretto della Germania sulla Grecia. Mi sembra piuttosto che siamo di fronte a un passaggio, profondamente politico, che porta alla sua logica conclusione il processo di dominio monetario della Germania sul Sud-Est dell’Europa e sull’intera Unione Europea. La stessa moneta comune – una relazione sociale complessa senza uno Stato alle spalle – è un camuffamento del marco tedesco. Non intendo demonizzare la Germania né il popolo tedesco, ma criticare un particolare tipo di dominio bancario e finanziario dell’Europa basato sul modello tedesco, anti-inflazionistico, di capitalismo. Qualcosa che i greci non possono tollerare, e di profondamente sbagliato per i popoli europei, perché di fatto vieta le politiche keynesiane. 

In un recente articolo lei ha paragonato il piano “anti-debito” dell’Ue alla strategia della “geometria variabile” adottata dalla Germania dopo la sua riunificazione nel 1990…
La nozione di “geometria variabile” risale al settembre 1994, quando il gruppo parlamentare tedesco della Cdu/Csu al governo redasse e fece circolare all’interno del parlamento europeo un documento che suggeriva che i paesi che rappresentavano il nocciolo dell’Unione avrebbero potuto proseguire il processo d’integrazione monetaria, economica e politica, mentre i nuovi paesi che chiedevano di entrare avrebbero potuto farlo ciascuno secondo i propri tempi, in un secondo momento. Oggi la Germania sta provando a istituzionalizzare questa strategia, il che significa essenzialmente istituzionalizzare i vantaggi accumulati dal modello tedesco di capitalismo: la Germania in primo luogo, e altri Stati del nocciolo, si troveranno in una posizione migliore per riciclare i loro surplus finanziari grazie ad accordi vantaggiosi con elementi compradori della periferia e classi politiche corrotte, riproducendo una relativa ricchezza sociale in un polo dell’Unione e assoluta povertà  sociale nell’altro.

Come potrebbe realizzarsi l’uscita dall’area dell’euro che lei vede come unica via per la Grecia per risolvere i suoi problemi?
Io ed altri in Grecia e Gran Bretagna ci battiamo per un’uscita dall’euro e non dall’Ue. L’Unione Europea – è la posizione sulla quale convenni con Pietro Ingrao e altri compagni italiani nel corso di discussioni negli anni Ottanta e Novanta – rappresenta un terreno molto importante di battaglia sociale e politica il cui processo di dissoluzione, se o quando avverrà , deve essere guidato da forze radicali democratiche sulla base di un programma che accresca l’autonomia regionale e superi i nazionalismi e lo Stato nazione. I partiti attualmente al potere – che hanno dominato la politica greca dalla caduta dei Colonnelli nel 1974 – non hanno alcun interesse per la strategia di “default e uscita”. Ma il lavoratore salariato, l’impiegato sottopagato della pubblica amministrazione, il piccolo borghese proprietario di un negozietto, il ristoratore che aspetta i turisti in estate per sopravvivere il resto dell’anno: queste categorie sociali – la stragrande maggioranza della popolazione greca – hanno tutto l’interesse a battersi per la strategia che noi sosteniamo. Abbiamo anche un programma politico molto concreto per la transizione verso un modello di sviluppo socialista, sostenibile ed ecologico basato, tra l’altro, su energia solare, agricoltura e rinascita del turismo.

Eppure l’uscita dall’euro – a giudicare dai sondaggi – è ciò di cui la gran parte della popolazione ha paura.
Il popolo greco non ha nulla da perdere da una strategia socialista di “default e uscita” se non – come direbbe Marx – le proprie catene. Merkel e Sarkozy hanno ritenuto che il referendum di Papandreou, che sarebbe stata una consultazione sulla permanenza della Grecia nell’euro, fosse troppo rischioso, e gliel’hanno fatto cancellare, ponendo fine di fatto alla carriera politica dell’ex premier. Se la strategia che ho descritto verrà  adottata dalla sinistra greca (Syriza, Kke e altre forze progressiste e verdi) sotto una nuova leadership radicale e democratica, a rimetterci sarà  solo l’oligarchia compradora finanziaria in Grecia ed Europa, non il popolo greco né quelli europei. Molte volte nella storia è successo che in fasi politiche critiche i popoli fossero più avanti dei loro leader. Ora la sinistra greca deve fornire al paese la leadership di cui ha bisogno. Ad Atene, Salonicco e altrove si percepisce proprio questo: che centinaia di migliaia di persone che manifestano nelle strade chiedono una guida, un programma e una visione politica. Questa è la realtà  sulla quale la sinistra deve investire ciò che finora ha guadagnato. Chi vorrà  porsi alla guida di questo movimento dovrà  essere radicale almeno quanto lo è la realtà .


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