by Editore | 27 Febbraio 2012 9:46
BRUXELLES — I lavoratori italiani sono fra i meno pagati in Europa. Un salariato italiano, a parità di condizioni, guadagna circa la metà di quanto guadagnano i suoi colleghi in Germania, o in Lussemburgo, o in Olanda. Addirittura, viene pagato quasi un terzo del salariato danese. E un pò meno di spagnoli e ciprioti. Ma fino a ieri — prima del piano di austerità imposto ad Atene dall’Europa — l’italiano ha avuto degli stipendi perfino più magri di quelli greci.
Questo dicono — nella versione riportata dalle agenzie di stampa — le tabelle dell’Eurostat, l’agenzia europea di statistica, sugli stipendi medi lordi annuali riferiti ad aziende con più di 10 dipendenti nel campo dell’industria, delle costruzioni, dei servizi e del commercio. E disegnano un continente salariale dove l’Italia sta, appunto, nella fascia delle posizioni più basse. Forse non sono tutti dati univoci, perché certe statistiche riguardanti l’Italia sembrano fermarsi al 2006, mentre altri Paesi vengono “fotografati” anche nel 2009 e più oltre, rendendo obiettivamente difficile un raffronto omogeneo.
Ma in ogni caso, qualche manciata di decimali e un anno in più o in meno non cambiano la realtà di fondo: in generale l’Italia si colloca con i suoi salari al dodicesimo posto dell’Eurozona, a stento supera il Portogallo, Malta, la Slovenia e la Slovacchia. Lo stipendio annuo, lordo, che l’Italia offre ai suoi lavoratori è in media di 23.406 euro, mentre la Germania arriva a 41.100 euro; il Lussemburgo a 48.174, l’Olanda a 44.412, la Francia (nel 2010) a 34.132 euro. La Grecia, prima dell’allarme bancarotta e della grande stangata che ne è seguita, stava a quota 29.160 e ora è «precipitata» drammaticamente a 11.064 euro (922 euro al mese). In testa a tutti veleggiano la Danimarca (56.044), e la Norvegia che ancora non fa parte della Ue (51.343). «In Italia abbiamo salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato — ha commentato il ministro del lavoro Elsa Fornero —. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività ». «Le diamo ragione — ha ribattuto Francesco Boccia del Pd — ma l’obiettivo da lei indicato sarà un vero e proprio miraggio se non aumentano a loro volta i salari netti, attraverso la diminuzione immediata della pressione fiscale su quelli più bassi». E una parola ha voluto spenderla anche Pasquale Cafagna, del sindaco di polizia Siulp: «I nostri stipendi medi non superano i 1.500 euro. Noi siamo in braghe di tela, speriamo che la trasparenza del governo Monti voglia dire anche riduzione di stipendi spropositati come quelli di manager pubblici e politici». Non solo i salari in Italia sono bassi ma sono anche impiegati più o meno all’80% per le spese giornaliere, dice Carlo Pileri dell’Adoc (Associazione per la difesa e l’orientamento del consumatore): «Gli italiani spendono in media ogni giorno circa 37 euro e cioè il 79,5% del proprio reddito quotidiano al netto delle tasse».
E c’è un altro fatto, secondo la lettura di queste statistiche, che colpisce: questo è un panorama in continuo movimento, per considerazioni economiche o anche sociali i Paesi che qualche anno fa stavano più indietro hanno recuperato il terreno perduto, e anche l’Italia ovviamente lo ha fatto; ma ricorrendo a una marcia più bassa, quando non perdendosi per strada. Infatti, in 4 anni fino al 2009, avrebbe incrementato i suoi stipendi medi del 3,3%, mentre Spagna e Portogallo (con Grecia e Irlanda i cosiddetti «Pigs», i Paesi tre o quattro anni fa considerati più a mal partito) hanno fatto balzi in avanti rispettivamente del 29,4% e del 22%. E il Lussemburgo, che comunque partiva da retribuzioni già buone, ha irrobustito ancora le sue buste paga del 16,1%; il Belgio dell’11%, la Francia del 10%, la Germania del 6,2%, l’Olanda del 14,7%.
Qualche consolazione può arrivare — forse — da altri dati, quelli sulla differenza di retribuzione tra uomini e donne. Non da oggi, la media europea mostra un desolante 17% (forbice fra la media del salario orario di lavoratori e lavoratrici), mentre l’Italia si attesta sotto il 5%. Anzi: subito dopo la Slovenia, è il Paese che può vantare il divario più limitato. Però da noi le donne lavorano di meno, e di meno si ricorre al part-time: anche la Bulgaria o la Romania hanno una forbice ben ristretta, ma anche lì l’occupazione femminile è più bassa. Dunque non vi sono ragioni per brindar troppo, neppure in questo.
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