by Editore | 14 Febbraio 2012 11:17
Raffaele Guariniello non è un passionario, a vederlo (e a conoscerlo) è l’opposto di un magistrato d’assalto. È preciso, puntiglioso nella ricerca delle prove, garantista. Per questo è tra le toghe più temute da chi ha qualcosa, o molto, da temere. È difficile smantellare il suo lavoro di inquirente. Quella di ieri, per lui è stata una giornata fantastica e Guariniello, uomo schivo, non nasconde la sua soddisfazione. Le sue tesi hanno retto a ogni contestazione e il vertice della Eternit ha subito una condanna dell’ordine da lui richiesto e con le stesse motivazioni riportate nelle imputazioni.
Bel risultato, dottor Guariniello. È contento della sentenza?
Posso dire che un mio grande sogno si è realizzato. Nel suo genere, questo processo è il più importante che si sia mai fatto, nel mondo e nella storia e la sentenza ne è la degnissima conclusione.
Quali sono i messaggi connessi a questa sentenza?
Innanzitutto dice che è possibile contestare i disastri provocati nel lavoro come nella vita delle vittime di scelte che privilegiano gli interessi alla sicurezza e alla salute. E si può contestare il dolo, così come è stato nei confronti della ThyssenKrupp prima ancora che dell’Eternit. La sentenza ci dice anche che abbiamo il dovere, come magistrati, di andare alla ricerca delle responsabilità penali senza fermarci a quelle minori, ma indagando nei luoghi dove si prendono le decisioni e si esercitano poteri di spesa sulla sicurezza del lavoro e sull’ambiente. In parole povere, bisogna entrare nei consigli d’amministrazione.
Cosa l’ha colpito ascoltando la sentenza?
Molte cose, dalle condanne a carico dei vertici della multinazionale ai risarcimenti, fino a quel lungo elenco di nomi. A qualcuno può essere sembrato arido, burocratico, invece era l’elenco interminabile delle vittime dell’amianto, uccise dal mesotelioma.
Cosa ha reso possibile questo esito processuale?
Quando ho iniziato a lavorare a questo processo, tra il 2006 e il 2007, un esito così mi sembrava un sogno impossibile da realizzare. Invece siamo riusciti a istruirlo per bene grazie all’organizzazione specializzata che abbiamo costruito negli anni. Un’organizzazione che dovrebbe comunque avere competenze nazionali.
La cosiddetta superprocura sulla sicurezza sul lavoro, contro cui si sono alzate non poche resistenze. Quali suggerimenti si sente di dare sulla base della sua lunga e qualificata esperienza?
Innanzitutto il sistema giustizia deve investire di più; i vari livelli, compreso il Consiglio superiore della magistratura, devono capire che non ci sono procure e questioni di serie B, perché la salute e la sicurezza sul lavoro non sono di serie B rispetto alla lotta alla mafia e alla camorra. Bisogna investire e spingere nella direzione della costruzione di specializzazioni.
E oggi non è così?
Con la riforma dell’ordine giudiziario, dalla fine dello scorso anno è stato introdotto il principio dello spostamento decennale dei magistrati. Di conseguenza, il mio gruppo di lavoro che era composto da nove persone ne ha perse sei a partire dal 31 dicembre con sei mesi di tempo per adeguarci, e a breve perderò un settimo componente del gruppo. Ci vorranno anni per ricreare queste professionalità perdute, e sarà più difficile instruire e condurre a buon fine processi come quello che si è appena concluso con la condanna dei vertici dell’Eternit.
Non le sembra che questo vostro lavoro sulla sicurezza corra il rischio di essere inficiato dalle modifiche legislative in atto, che facendo leva sulla crisi economica rischiano di ridurre i diritti dei lavoratori?
Le leggi in Italia ci sono e sono buone leggi, il problema sta nell’applicazione concreta che riguarda le organizzazioni di controllo sulla sicurezza e la stessa magistratura. Leggendo i recenti provvedimenti che riguardano le liberalizzazioni mi sembra che le innovazioni salvaguardino i diritti dei cittadini alla salute.
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