L’Onu: in Italia ormai è “femminicidio”

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Alla vigilia dell’8 marzo l’Italia farebbe bene a interrogarsi. Ma davvero siamo un Paese che perseguita la donna? Il dipartimento delle Pari opportunità  ha addirittura pensato di istituire la figura di un avvocato specializzato nella sua difesa. E Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, ha appena parlato di femminicidio: «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Femminicidio è un neologismo ed è una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale della donna in quanto tale. Wikipedia scrive che «avviene per fattori esclusivamente culturali: il considerare la donna una res propria può far sentire l’aguzzino legittimato a decidere sulla sua vita».
È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 nella totale indifferenza delle autorità  di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. C’erano cadaveri straziati buttati nella monnezza o sciolti nell’acido: secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze dell’ordine. Certo, in Italia non siamo arrivati a questi livelli. Però, si tratta di delitti trasversali a tutte le classi sociali.

Stefania Noce, femminista del Movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in psicologia che lei diceva di amare «più della sua vita». A marzo di un anno fa nella periferia romana è stato trovato il tronco del cadavere di una donna mutilato: il caso è stato archiviato subito anche dai giornali. Come se volessimo tutti chiudere gli occhi davanti a questo orrore. Rashida Manjoo nella sua relazione ha detto che «la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese, come confermano le statistiche: dal 70 all’87 per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della famiglia».
C’è chi sta peggio, l’abbiamo capito: dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. Ma nel mondo cosiddetto civilizzato dell’Europa siamo messi davvero male. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel 2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in continua crescita dal 2005 a oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439. Secondo l’associazione «Casadonne» di Bologna, si tratta di «un fenomeno inarrestabile».

Nei primi mesi del 2011, le statistiche parlano già  di 92 donne uccise. Nella stragrande maggioranza dei casi gli assassini sono all’interno della famiglia, mariti (36 per cento), partner (18), parenti (13), ex (9), persino figli (11). Come se non bastasse, poi, «i dati sono sottostimati perché non tengono conto delle donne scomparse, dei ritrovamenti di donne senza nome o di tutti quei casi non ancora risolti a livello personale». Anche secondo una ricerca della Regione Toscana il fenomeno «è drammaticamente in crescita», e solo nel 2005 si è registrato in Italia un omicidio in famiglia ogni due giorni, e in sette casi su dieci la vittima era una donna. Ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano del proprio partner. Secondo i dati della Polizia e dell’Istat una donna su 4, nell’arco della vita, subisce violenza, e negli ultimi nove anni, ha stabilito un rapporto dell’Eurispes, «il fenomeno è aumentato del 300 per cento». Le Nazioni Unite sostengono che «in 125 Paesi del mondo le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita».

L’Italia, purtroppo, sembrerebbe far parte degli altri 139 Paesi. Davvero siamo messi così male? A sentire la coordinatrice della Commissione Pari opportunità  del Consiglio Forense Susanna Pisano pare proprio di sì: solo il 6 per cento delle donne italiane denuncia la violenza subita. «La nostra è una piaga silenziosa e nascosta», dice. Non è solo una questione di costume, ma anche di diritto, come spiega bene, in fondo, la recente sentenza della Cassazione secondo la quale gli autori di uno stupro di gruppo non meritano il carcere. E non è un caso, alla fine, che proprio in Italia stia per nascere la figura di un avvocato specializzato solo nella difesa delle donne. Aspettando l’8 marzo…


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