Lo zio di peggy e la passione di famiglia

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Tutti hanno in mente Peggy, i suoi mariti e gli amati cani. Ma prima di lei, ad aprire la dinastia dei collezionisti, c’è lo zio Solomon. Lo stesso che inaugura la Fondazione (1937), ma che non riuscirà  a vedere il museo che porta il suo nome, terminato a New York da Frank Lloyd Wright nel 1959, a dieci anni esatti dalla morte del committente. 
Ha un animo europeo, Solomon. Nasce a Philadelphia, nel 1861, alla vigilia della guerra di Secessione. Il padre Meyer, ebreo svizzero, fa fortuna nell’industria estrattiva e si impegna perché gli otto figli mantengano un legame con il Vecchio Continente: “Sol”, infatti, va a studiare a Zurigo, al Concordia Institute. Tornato negli Stati Uniti, il giovane Guggenheim mette a segno due colpi, uno sul lavoro e l’altro nel privato: fonda la Yukon Gold Company e, nel 1895, sposa una Rothschild, Irene. Nello stesso periodo, comincia ad acquistare dipinti. Ma la svolta avviene nel 1919, quando si ritira nella sua pensione dorata: collezionare arte diventa la nuova attività .
Dietro al grande collezionista, c’è una grande donna, e non si tratta della moglie Irene. Si chiama Hilla von Rebay: è una contessa tedesca, dipinge quadri astratti e vive in America dal 1927. Quando Solomon, nel 1930, visita per la prima volta lo studio di Vasilij Kandinsky, a Dessau, in Germania, è con lei. Inizia a comprare le composizioni di colore dell’artista russo. Grazie a Hilda, la collezione Guggenheim prende corpo e occupa l’intero appartamento newyorchese all’Hotel Plaza. Ma ci vuole un luogo più adatto: prima nasce il Museum of Non-Objective Painting e poi la baronessa consiglia al magnate di puntare su Lloyd Wright per costruire un edificio imponente e modernissimo, dove trasferire la raccolta ormai mastodontica. Il progetto inizia, ma Solomon, nel 1949, a 88 anni, muore. La famiglia Guggenheim estromette Hilda da ogni attività  legata alla Fondazione. 
Intanto, si fa strada l’astro di Peggy, figlia di Benjamin, il fratello di Sol morto sul Titanic. E qui la storia diventa un vero e proprio romanzo del Novecento. Sin dal primo matrimonio, con il pittore dada francese Laurence Vail, la vita di Marguerite, detta Peggy, si intreccia con l’arte. A Londra, nella galleria che apre con Cocteau, espongono Tanguy, Picasso, Braque e Max Ernst, che diventa il suo secondo marito. Tornata a New York, la ormai ex signora Ernst scopre un pittore geniale dalla bottiglia facile: si chiama Jackson Pollock e lei ne diventa la mecenate. Per gli artisti, Peggy è una talent scout, una manager, un’amica e a volte anche di più. In una scena del film Pollock (2000) di Ed Harris, prima di andare a letto, lei dice a Jackson: «Non sai quanto io abbia lavorato per rendere la gente interessata al tuo lavoro». Il mondo, intanto, si interessa a lei. La sua collezione è protagonista alla Biennale del 1948. Venezia diventa la nuova città  dell’ereditiera: Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, è il buen retiro. Oggi appare una suggestiva casa-museo. E Peggy rimane sempre lì: nel giardino c’è la sua lapide e quella dei 14 amici a quattro zampe.


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