L’Italia è piena di amianto
Negli anni ’60 – ’70 giocavano con la “neve”, una polvere bianca che usciva dai sacchi in stazione. Gli abitanti di Casale Monferrato, l’amianto, quella “polverina magica”, l’hanno conosciuta bene e non solo per gioco, purtroppo. Lunedì, 13 febbraio, si attende la sentenza del processo contro l’Eternit AG, l’azienda – dal 1906 a Casale – che ha mandato a morire 1.800 tra lavoratori, familiari e casalesi. A giudizio i proprietari della multinazionale: lo svizzero Stephan Schmideiny e il belga Jean-Louis de Cartier de Marchienne per disastro doloso e omissione volontaria di cautele infortunistiche. In un processo che ha visto 65 udienze, 6.000 parti civili in 26 mesi di istruttoria, il procuratore di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto venti anni di reclusione per entrambi gli imputati. Schmideiny, propose mesi fa al Comune di Casale un’offerta di transazione di 18 milioni di euro, purché si ritirasse dalle parti civili. Dopo giorni di lotta e polemiche da parte degli abitanti, il sindaco di Casale ha rinunciato. E ora si chiude il procedimento penale più grande d’Italia, ma non l’unico.
Dove si indaga per amianto in Italia.
C’è il processo di Praia a mare (Cosenza) contro Lomonaco ex sindaco e responsabile all’interno della fabbrica tessile Marlane (24 febbraio, prossima udienza), quello di Padova contro alcuni ex capi di Stato Maggiore della Marina Militare (la sentenza 22 marzo); il processo contro l’Isochimica di Avellino di Elio Graziano che sta per partire e che ha visto 108 lavoratori ammalarsi in 20 anni; l’istruttoria, appena partita, contro Filippo Russo che ha abbattuto l‘Ex Velodromo a Roma per conto dell’Eur Spa. Quest’ultimo, è l’unico processo dove non ci sono vittime, per quanto dopo l’esplosione della struttura che ha inondato di polveri il quartiere Eur, si siano contati 4500 chili di detriti con amianto, tanto che il pubblico Ministero è passato dall’imputazione di “getto di cose pericolose” a “disastro colposo”. In realtà , i casi aperti su cui si indaga in Italia sono molti di più: l’ex stabilimento Fibronit di Broni e di Bari (Lombardia e Puglia); l’ex stabilimento Michelin di Cuneo; la Caserma di Prati di Caprara a Bologna dove nonostante il tetto in eternit sgretolante sono stati accolti i profughi dal Nord Africa la scorsa primavera; l’ex opificio industriale di Mongrassano Scalo a Cosenza; e ancora l’Eternit, la Cementir e l’Italsider di Bagnoli, dove si devono ancora smaltire 100mila tonnellate di amianto, accanto alle quali centinaia di ragazzi si raccolgono nelle discoteche contigue tutti i fine settimana.
L’Italia, a venti anni dalla legge che lo ho bandito, è piena d’amianto: 32 milioni di tonnellate, 1 miliardo di manufatti per 4mila morti l’anno. Secondo i dati dello studio SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento) dell’Istituto Superiore di Sanità , sono almeno 31 i luoghi di interesse per una bonifica da amianto. Ma in tutti questi anni cosa ha fatto lo stato, la politica?
Amianto, male di Stato e di politica.
La giustizia in Italia tenta sempre di fare il suo corso, anche quando è lo stesso Stato a mettergli i bastoni tra le ruote. Sergio Dini, Pubblico Ministero a Padova nel processo contro gli otto ex capi di Stato Maggiore della Marina Militare, nel bel mezzo dell’istruttoria ha dovuto vedersela con la legge 132/2010, introdotta dall’ultimo governo Berlusconi. Il processo aveva chiamato in causa per omicidio colposo alcuni ammiragli, responsabili di non aver segnalato la presenza di amianto ai marittimi delle navi. Le parti offese, un capitano di vascello e un meccanico (deceduti). In realtà i militari marittimi morti per cause d’amianto sono circa 700 a tutt’oggi. La legge 132, ridenominata “salva-ammiragli”, solleverebbe dalla responsabilità penale gli ufficiali dei navigli militari, secondo il grimaldello di una legge del 1955 che ne permette solo l’imputazione ai fini civili. “E’ chiaro che la legge 132 – spiega Dini – è il prodotto di una mentalità politica ad personam. E’ incostituzionale.” Ma i problemi non finiscono qui. C’è la questione delle certificazioni dell’INAIL per il prepensionamento dei lavoratori ex esposti all’amianto. L’ente previdenziale, infatti, grazie ad un altro decreto del marzo 2008 ha escluso i lavoratori delle aree portuali dalla possibilità di farne richiesta e nonostante un ricorso del TAR che ha dato loro ragione, ritarda ancora le procedure.
Chi paga allora per le vittime d‘amianto?
Esiste un Fondo per le vittime dell’amianto, istituito nel 2007 (legge 244) durante l’ultimo governo Prodi. Per renderlo operativo occorreva un decreto entro 90 giorni. E invece il decreto è arrivato solo il 12 gennaio 2011, come denuncia Felice Casson, vice presidente del Partito Democratico al Senato ed ex magistrato, il quale sulla questione ha presentato anche una Risoluzione in discussione a Palazzo Madama. Arrivato il decreto con il ministro del Lavoro Sacconi, sono stati però esclusi dall’accesso al Fondo le vittime per amianto non lavoratori! Il problema, tuttavia, non è solo a livello di politica nazionale. C’è, infatti, il caso del Comune di Roma che sull’ex velodromo, la struttura abbattuta nel 2008, ricca di amianto e mal bonificata, vorrebbe far costruire un complesso di torri ed abitazioni di pregio, accanto a qualche servizio pubblico per il quartiere, non curante del processo che è appena partito contro l’Eur Spa, la società mista tra Comune e Ministero del Tesoro. Una colata di cemento, il progetto comunale, che la Provincia sta tentando di bloccare nonostante la delibera del Comune possa essere votata in qualsiasi momento.
Responsabilità di Stato
La sete di giustizia che ha portato i cittadini di Casale Monferrato a rifiutare l’offerta di indennizzo della Eternit al Comune ed il Comune stesso a rimanere quindi parte civile nel processo, è un segno evidente che le vittime dell’amianto, sia malati che non, vogliono la partecipazione dello Stato. Le bonifiche per tutta Italia avranno dei costi proibitivi e non saranno risolutivi nemmeno i 750mila euro promessi dal Ministro della Salute Balduzzi a Casale. “Quel che è certo, però – sostiene l’avvocato Ezio Bonanni che segue l’inchiesta dell’Isochimica di Avellino ed è Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – è che un reato commesso non può rimanere senza responsabili. Presenterò l’esposto, già inoltrato alla Procura di Firenze per la vicenda dell’ex fabbrica Isochimica, anche all’Antimafia”. Come a dire: L’Italia dell’amianto, per avere giustizia, deve lottare anche contro se stessa.
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