L’Italia acquista i primi Jet F-35 ma i costi annunciati suscitano perplessità 

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Per quest’ultima versione, la più problematica sul piano tecnologico al punto da accumulare due anni di ritardo e di rischiare di venire cancellata, Debertolis ha parlato di problemi risolti anche se il Pentagono ha recentemente evidenziato che permangono serie difficoltà  che coinvolgono la cellula e l’apparato propulsivo. “I primi velivoli costano sempre di più” e a regime gli F-35 costeranno circa 55 milioni l’uno, contro i 79 milioni di euro dell’Eurofighter” ha dichiarato Debertolis.

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Cifre molto contenute che suscitano qualche perplessità . Nell’autunno scorso fonti vicine all’Aeronautica ritenevano già  inverosimile che un F-35 potesse costare “solo” 78 milioni di dollari come previsto dal produttore statunitense, Lockheed Martin, nel 2008 mentre il prezzo di 55 milioni di dollari a esemplare era già  stato superato nel 2004 dalla lievitazione dei costi. In ottobre uno studio della Corte dei Conti canadese effettuato sulla commessa di Ottawa per 65 velivoli della versione A (meno costosa della B anche rappresenta circa la metà  della commessa italiana prevista) valutava che ogni velivolo sarebbe costato 148 milioni di dollari , cioè il 66 per cento di quanto aveva annunciato il governo canadese nel 2010. Fonti ben informate riferiscono che è assai Improbabile che l’F-35, jet di quinta generazione che adotta tecnologie innovative in parte ancora da integrare possa costare meno di un Eurofighter Typhoon. Del resto proprio un documento di Segredifesa risalente al 4 agosto 2011 prevede che tra il 2010 e il 2027 vengano spesi solo per acquisire i 131 jet previsti 15, 87 miliardi di euro, cioè più di 121 milioni a velivolo.

I primi 3 aerei “sono stati ordinati e saranno italiani” ha precisato Debertolis aggiungendo che all’aeroporto militare di Cameri (Novara), dove ha sede lo stabilimento per l’assemblaggio e la manutenzione degli F-35 costato 800 milioni di euro, “si sta già  lavorando in hangar provvisori per costruire la parte fusoliera/ali, mentre l’assemblaggio partirà  a inizio 2013”. Il numero definitivo di F-35 italiani potrebbe subire dei tagli e indiscrezioni riferiscono di un’ipotesi d’acquisto per 100 aerei alla quale sarebbe decisamente contraria l’Aeronautica. “Il numero dei velivoli da acquistare non è un impegno da assumere subito, ma in base all’elaborazione da parte del ministro della Difesa del nuovo modello delle forze armate”.

In ogni caso, informa Debertolis, “anche se il numero finale dei velivoli fosse molto più basso dei 131 iniziali, comunque assicureremo sempre alla nostra industria il lavoro, cercando di avere a compensazione l’assemblaggio di velivoli destinati ad altri Paesi. “Stiamo agendo sull’allungamento delle consegne degli aerei” ha aggiunto il generale spiegando che la ridefinizione di questo programma “è molto più semplice rispetto ad altri programmi, come quello dell’Eurofighter, perché è modulare e quindi i ritardi non comportano un aumento dei costi”. Eppure negli Stati Uniti i tagli al Pentagono e la decisione di allungare i tempi di acquisizione dell’F-35 riducendo il numero di jet da acquisire ogni anno (solo 29 nel 2013) rischia di influire proprio sui costi, innalzandoli ulteriormente come ha lamentato Lockheed Martin. Possibile che i prezzi aumentino per il Pentagono e non per gli italiani? Del resto proprio le continue diluizioni delle acquisizione tra molti dei quindici Paesi a oggi coinvolti nel programma ha finora impedito di far emergere un costo chiaro e definito per i lotti di produzione LRIP-6 (Low rate initial production) cui apparteranno i primi velivoli italiani.

Perplessità  anche circa le compensazioni industriali. Debertolis ha detto chiaramente che la vittoria del jet francese Rafale nella competizione per il nuovo jet indiano determinerà  uno stop alla produzione dell’Eurofighter Typhoon e i lavoratori oggi impegnati per il caccia europeo verranno dirottati alla linea dell’F-35. “L’Eurofighter avrà  una cessazione di produzione: cambia lo scenario e un rallentamento del programma comporterebbe un aumento dei costi” ha detto il generale quando tra il 2009 e il 2012 era previsto un calo delle attività  di produzione del caccia europea ma pari al 30 per cento, non totale.

Il generale ha riferito di 10.000 posti di lavoro nel programma del nuovo jet americano ma non si tratta di nuovi impieghi ma di un parziale recupero degli 11 mila posti garantiti oggi dalla produzione del Typhoon. “Si parte da un minimo garantito, sperando che con la prosecuzione dell’attività  si avrà  un indotto superiore anziché inferiore – ha spiegato Debertolis – Diciamo che ci sarà  continuità  occupazionale fra Eurofighter e Joint Strike Fighter”. Anche in questo caso non mancano le perplessità  Finora gli accordi firmati tra Lockheed Martin e l’industria italiana ammontano a meno di un miliardo di euro e poche centinaia di posti di lavoro. Debertolis ha accennato a nuovi accordi circa i quali “dovremmo chiudere l’accordo in queste settimane” ma pare improbabile che anche ottenendo di assemblare a Cameri i jet destinati ad altri Paesi europei la forza lavoro impegnata sia così elevata (pur perdendo mille posti rispetto al caccia europeo) specie considerando che la nostra industria è produttrice del Typhoon ma solo fornitrice e sub-fornitrice dell’F-35.


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