L’informazione sempre più vittima della guerra

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Prima di loro, sempre in Siria, erano morti Gilles Jacquier di France 2 e il giornalista americano Anthony Shadid. 
Conoscevo Marie Colvin, giornalista americana residente da molti anni in Gran Bretagna, dove lavorava per il settimanale britannico. L’avevo incontrata la prima volta a Baghdad, nel dicembre del 1990. Eravamo alla vigilia della prima guerra del Golfo, l’ultimatum stava per scadere. Forse per esorcizzare la paura della guerra a Baghdad, oramai quasi senza cibo, si celebravano feste e matrimoni e ferveva la vita culturale. Infatti noi ci siamo incontrate a teatro. C’era, con lei, Patrick Cockburn, altro grande reporter che ho incrociato spesso in Iraq. 
Marie l’ho rivista qualche anno dopo quando, con altri giornalisti, eravamo alla ricerca di un aereo per passare dall’Etiopia all’Eritrea via Gibuti, lo spazio aereo eritreo era chiuso. Alla fine ce l’abbiamo fatta su un vecchio aereo russo con i sedili divelti, che volava bassissimo per non essere intercettato. Appena mi vedeva Marie mi chiedeva de il manifesto, prima di me, a Baghdad, aveva incontrato anche il nostro Stefano Chiarini, morto ancora prima di lei. 
Frequentando le stesse aree ci si incontra spesso, ma poi il lavoro a volte ti porta da altre parti. Così lei era andata in Sri Lanka dove, nel 2001, colpita da una scheggia di una granata, aveva perso un occhio. Questo brutto incidente tuttavia non l’aveva indotta ad abbandonare il lavoro e così l’ho ritrovata a Kabul con una benda nera sull’occhio.
Non si è mai fermata: Palestina, Cecenia, Libia e poi, alla fine, Siria. La Siria era stata a lungo blindata dalle autorità  prima di permettere l’accesso dei giornalisti. Le dittature temono l’informazione, non vogliono testimoni dei loro massacri. Così si alimenta la propaganda di guerra di tutte le parti in conflitto. 
La morte di giornalisti come Marie, del giovane Remi – che ha vinto un World press photo per una foto fatta in Libia -, di Gilles e Anthony sono non solo una grave perdita ma anche una sconfitta dell’informazione. Una informazione sempre più vittima delle guerre.
Nei teatri di guerra o di conflitto non serve l’esperienza per avere maggiori probabilità  di uscirne vivi e molti giovani che vogliono intraprendere questo mestiere spesso rischiano la vita per un articolo o una foto che forse non saranno mai pubblicati. Ne abbiamo incontrati tanti in questi anni, alcuni sono anche riusciti a farsi strada, ma a quale prezzo? I giornalisti non hanno protezione, nessuno è interessato a proteggerli, meglio speculare sulle informazioni che avere testimoni. L’informazione ha un prezzo troppo alto soprattutto nel momento in cui le testimonianze sono sottopagate.


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