L’INFANZIA DI UNO ZAR PUGNI E SPIONAGGIO, LE PASSIONI DEL PICCOLO PUTIN

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La squadra che Berezovskij aveva messo insieme per scrivere la biografia di Putin aveva solo tre settimane per produrre il libro. L’elenco delle fonti a loro disposizione era limitato: lo stesso Putin – una intervista che richiese sei lunghe sessioni – la moglie, il suo migliore amico, un vecchio insegnante, la segretaria dell’amministrazione della città  di San Pietroburgo. Non potevano fare un’indagine profonda sul soggetto; il loro compito era di scrivere una leggenda. Il risultato fu il mito di un teppista di Leningrado nel dopoguerra.
I suoi genitori, Maria e Vladimir Putin, erano sopravvissuti all’assedio di Leningrado. Putin padre aveva combattuto con l’esercito all’inizio della guerra fra Russia e Germania ed era stato gravemente ferito in battaglia non lontano dalla città . Questi erano i genitori del futuro presidente: un ferito di guerra e una donna che era quasi morta di fame e che aveva perso entrambi i figli (l’altro era morto molti anni prima della guerra in età  infantile). Ma nel quadro della Unione Sovietica postbellica i Putin si potevano considerare fortunati: erano ancora insieme. Essere sopravvissuti alla guerra e all’assedio, avere ancora il coniuge – e la casa – era praticamente un miracolo.
Essere stato catapultato al potere dall’oscurità  e aver passato tutta la vita adulta all’interno dei confini di una istituzione segreta e molto chiusa ha permesso a Vladimir Putin di esercitare un controllo mirato sulle sue informazioni personali più di ogni altro uomo politico moderno e ancor più di ogni altro uomo politico moderno occidentale. Putin è riuscito a creare il suo mito. Il risultato è in pratica il mito di un giovane nato nella Leningrado postassedio, un luogo malvagio, affamato e povero che ha fatto crescere giovani malvagi, affamati e feroci. Così almeno erano quelli che sono sopravvissuti.
Nell’edificio che vide crescere Putin si entrava dal cortile. I Putin abitavano al quinto e ultimo piano e il viaggio per salire le scale poteva comportare dei rischi. L’appartamento dei Putin non aveva una vera e propria cucina: una stufa a gas e un lavandino erano piazzati nello stretto corridoio al quale si accedeva dal vano scale. In totale erano tre le famiglie che utilizzavano le quattro piastre della stessa stufa per preparare i loro pasti. I Putin avevano la stanza più grande dell’appartamento: circa venti metri quadrati. Secondo gli standard di quel tempo per una famiglia di tre persone questo era quasi un palazzo. Ancora più incredibile il fatto che possedessero una televisione, un telefono, una dacia, tipica abitazione russa fuori città . Il vecchio Putin lavorava come operaio specializzato in una fabbrica di vagoni ferroviari, Maria faceva lavori saltuari che le rompevano la schiena ma le consentivano di passare del tempo con il figlio: lavorava come guardia notturna, donna delle pulizie, scaricatrice. Nelle ombre della povertà  postbellica sovietica, i Putin in pratica potevano essere considerati ricchi.
L’istruzione all’epoca non era eccezionale. Non era comunque una priorità  nel 1960, quando Vladimir Putin cominciò la prima elementare all’età  di quasi otto anni. La preoccupazione principale di suo padre, stando ai ricordi, era la disciplina e non la qualità  dell’educazione scolastica che il figlio riceveva. Nemmeno per il giovane Putin l’istruzione era parte fondamentale della sua idea di successo: nel descriversi aveva parlato con enfasi della reputazione che aveva da teppista, e in questo godeva della completa collaborazione dei suoi amici di infanzia. La maggior parte delle informazioni disponibili su di lui – cioè quelle fornite ai suoi biografi – riguarda le scazzottate della adolescenza e giovinezza. Putin, più giovane e magro di corporatura, cercava di tenere testa a tutti. «Se qualcuno lo insultava in qualsiasi modo», ricorda Victor, «Volodja gli saltava subito addosso, lo graffiava, gli strappava i capelli a ciocche, lo mordeva – faceva di tutto per non permettere che nessuno lo insultasse in nessun modo».
Putin portò il suo carattere aggressivo alla scuola elementare. Le scazzottature sono un riferimento corrente nei ricordi dei suoi compagni, e un aneddoto in particolare rende bene l’idea del temperamento del futuro presidente: «L’insegnante di laboratorio tecnico trascinava Putin per il colletto dalla sua classe alla nostra. Stavamo facendo palette per la spazzatura nella nostra classe e Putin aveva fatto qualcosa di sbagliato. Gli ci volle molto tempo per calmarsi. Sembrava che finalmente si sentisse meglio, che tutto fosse di nuovo a posto. E invece a un certo punto esplodeva ancora e ricominciava così a esprimere la sua rabbia. Questo a più riprese».
La scuola punì Putin escludendolo dalla organizzazione dei Giovani pionieri: una forma rara e quasi esotica di punizione, in genere riservata ai ragazzi considerati irrecuperabili. Putin era ormai segnato: per tre anni fu l’unico scolaro a non portare il fazzoletto rosso al collo, distintivo di appartenenza all’organizzazione comunista dei ragazzi dai dieci ai quattordici anni. Lo status sociale, politico e accademico di Putin cambiò quando raggiunse i tredici anni: in sesta classe cominciò ad applicarsi agli studi e venne premiato non solo con l’accesso ai Giovani pionieri ma con l’elezione a presidente della classe. Le scazzottate comunque continuarono con la stessa frequenza: gli amici di raccontarono ai biografi molte storie in cui la dinamica delle vicende si ripeteva in modo costante, anno dopo anno.
All’età  di dieci o undici anni, iniziò a cercare un luogo dove potesse esprimere la sua predisposizione al combattimento. Il pugilato si dimostrò troppo doloroso: gli spaccarono il naso in uno dei primi allenamenti. Poi scoprì il sambo. “Sambo” è l’acronimo di una frase russa che sta per “autodifesa senza armi”, un’arte marziale sovietica caratterizzata dalla combinazione di judo, karate e movimenti della lotta popolare russa. Il sambo e la sua disciplina ebbero però un ruolo fondamentale nella crescita di Putin da giovane teppista della scuola media in adolescente motivato e impegnato. Questo sport era anche finalizzato al raggiungimento di quella che stava diventando un’ambizione dominante: Putin aveva sentito che il Kgb voleva che le nuove reclute avessero una preparazione nel combattimento corpo a corpo.
«Immaginatevi un ragazzo che sogna di essere un funzionario del Kgb quando tutti gli altri sognano di diventare astronauti». Mi disse Natalja Gevorkjan cercando di spiegarmi quanto fosse strana per lei questa passione di Putin. A me non sembrava tanto strampalata: negli anni Sessanta i responsabili della cultura sovietica avevano investito molto nella creazione di una immagine romantica della polizia segreta. Quando Putin aveva dodici anni, il libro Lo scudo e la spada divenne un grande successo editoriale. Il suo protagonista era un agente dei servizi segreti sovietici che lavorava in Germania. Quando Putin aveva quindici anni il libro diventò il soggetto di una serie televisiva che ebbe un successo travolgente. Quarantatré anni dopo, il primo ministro Putin incontrò le undici spie russe che erano state espulse dagli Stati Uniti e insieme, in una dimostrazione di cameratismo e nostalgia, cantarono la sigla della serie televisiva.
Gessen, Masha, The Man without 
a Face © 2012 by © 2012 Bompiani/ RCS Libri S. p. A.


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