«Fiat non rispetta la sentenza»

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La Fiat perde in tribunale e non rispetta le sentenze. L’azienda ha fatto sapere con un telegramma che «non intende avvalersi delle prestazioni lavorative» dei tre operai di Melfi reintegrati in base alla sentenza dalla Corte di appello di Potenza, accogliendo il ricorso della Fiom. L’azienda ha chiesto a Giovanni Barozzino, ad Antonio Lamorte e Marco Pignatelli di restare a casa.
Secondo Lina Grosso, legale dei tre dipendenti di Melfi, «sarà  fatto di tutto per riportare al lavoro i tre operai, anche agendo in sede penale, perché la Fiat come al solito non rispetta la sentenze». I tre operai percepiranno regolarmente gli stipendi maturati fino a questo momento e quelli successivi alla sentenza di giovedì. In particolare, per quelli maturati sarà  corrisposta loro la differenza tra il sussidio di disoccupazione e il salario dovuto. Ma che non possano rientrare al lavoro resta un fatto grave. Quando un tribunale diede loro ragione una prima volta, la Fiat permise ai tre operai di entrare soltanto nella saletta della Fiom, ma non di andare sulle linee. Oggi che il sindacato dei metalmeccanici della Cgil è stato messo fuori dalla fabbrica, ai tre l’azienda intima di restare a casa. «La Fiat non si smentisce mai. Non rispettare le sentenze è, ancora una volta, un esempio del suo cattivo rapporto con il Paese e con la magistratura», dice il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere. La Fiat tiene «aperto un conflitto che andrebbe invece sanato per il bene del Paese e della Fiat». 
Non è stato l’unico atto di arroganza di ieri della Fiat. Dopo la saletta della Fiom, anche la bacheca con affissa l’Unità  scompare dallo stabilimento Magneti Marelli Weber di Bologna, espulsa. Lo ha raccontato la rappresentanza Fiom dell’azienda su Facebook: «Magneti Marelli prende a calci nel sedere l’Unità . Ieri la Fiat ha cacciato fuori dallo stabilimento anche lo storico quotidiano che alcuni ex delegati Fiom-Cgil, non avendo più la possibilità  di utilizzare la bacheca sindacale, compravano a spese loro e attaccavano in un’altra bacheca preposta ai giornali». Lì, vicino alla sala mese, «evidentemente – prosegue il sindacato davano fastidio le cose che l’Unità  scriveva e così dopo 60 anni, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci esce dalla fabbrica». Dunque «Marchionne il modernizzatore insulta non solo la storia del movimento operaio, ma anche la democrazia: una ragione in più per essere in piazza il nove marzo. La politica non sottovaluti questi segnali».
In una intervista al Corriere della Sera, Marchionne intanto alza il livello di preoccupazione per il lavoro in Italia sostenendo che a rischio di chiusura ci sono adesso due e non più un solo stabilimento. Questo potrebbe accadere se la sua strategia di esportare macchine fatte in Italia negli Stati Uniti, grazie all’alleanza con la Chrysler, non desse i suoi frutti. «Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l’opportunità  di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività » in Italia. Marchionne non fa i nomi, trincerandosi dietro a un paragone cinematografico. «Ricorda ‘Sophie’s choice?” Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste – afferma l’ad di Fiat – ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l’incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda». «Il governo dopo l’intervista di Marchionne, ha ottimi motivi, se vuole fare l’interesse degli italiani e dell’Italia, per passare dal proposito di convocare la Fiat ai fatti», commenta Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom. «Gli argomenti – aggiunge – sono due: il primo è che la Fiat invoca un regolatore pubblico nella crisi dell’auto, cosa che il precedente governo non ha fatto. La seconda è di non escludere di chiudere due stabilimenti su quattro, a partire da Mirafiori il cui rilancio è spostato al 2014. È molto ambizioso e avventuroso affidarsi alle esportazioni in Usa per salvaguardare gli stabilimenti italiani. Tutto questo va scongiurato». 
Dall’intervista «mi sembra giungano notizie non buone e preoccupanti», dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. «Mi sembra che la sovracapacità  produttiva che c’è in Europa da molti anni ci si è arresi a pagarla noi perché evidentemente non si pensa di poter competere sul mercato europeo che certamente è molto difficile». 


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