L’Europa ritrovi lo spirito di Havel per difendere il diritto in Siria

by Editore | 23 Febbraio 2012 9:04

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Torture, uccisioni, repressioni di massa, guerra civile, poco importa, Bashar al-Assad è sicuro della propria immunità  poiché due grandi potenze bloccano con il loro veto il Consiglio di sicurezza. Eppure, né la Russia né la Cina sono così pignole quando sono in gioco i loro interventi: la Georgia indipendente non è forse amputata del 20 per cento del suo territorio internazionalmente riconosciuto? E il Tibet colonizzato con brutalità  illustra la candida purezza dei padroni di Pechino. È giocoforza chiedersi quali siano i motivi nascosti dei veti successivi che equivalgono a un permesso di uccidere a Damasco e dintorni.
Ho sorpreso alla televisione un diplomatico di buona volontà  stupirsi, o fingere di stupirsi, di tanto accanimento. La notte precedente il voto di una risoluzione (lenitiva a forza di compromessi) al Consiglio di sicurezza, Assad aveva accumulato altri 230 cadaveri a Homs, perché l’ambasciatore russo restava ben saldo sul suo veto? Come poteva sostenere ancora l’assassino? Non bastava il cedimento alle sue esigenze di moderazione? Non era commosso da tanto dolore? Non era agitato da alcuna reticenza? Ma andiamo! Il Cremlino ha massacrato 250.000 ceceni, di cui 40.000 bambini (su una popolazione di circa un milione). Basta con i piagnistei! Bashar il dilettante è lontano da quelle cifre, il carnivoro deve quindi continuare il proprio lavoro. Né bisogna turbare gli esperti comunisti di Pechino che ancora non si pentono di aver lanciato i carri armati contro gli studenti sulla piazza Tienanmen.
Non date la colpa al ritardo con cui si accendono i buoni sentimenti: la verità  è che i sostenitori del boia di Damasco lo proteggono e si proteggono con cognizione di causa. Non insinuate che siano mossi soltanto da motivi bassamente mercantilistici (vendita d’armi) o tattici (base militare marittima nel Mediterraneo). L’asse Pechino-Mosca-Teheran-Damasco trascende i calcoli meschini, è un’alleanza per la sopravvivenza. «Vattene via!». Di fronte a dispotismi diversi, l’insurrezione democratica iraniana del 2009, le primavere arabe del 2011, le gigantesche manifestazioni di piazza a Mosca dell’inverno 2011-2012 protestano tutte allo stesso modo contro la dominazione «degli imbroglioni e dei bugiardi». Esprimono la stessa voglia di libertà , lo stesso rifiuto di una corruzione onnipresente e onnipotente. I Padrini che paralizzano l’Onu mirano giusto, Assad ha l’incarico di bloccare di netto, aiutandosi con i bagni di sangue, il contagio mondialista delle rivolte contro i dispotismi. Che faccia presto! Che colpisca forte, prima che le maggioranze dell’Onu, che oggi lo condannano, trovino domani, aiutate dall’indignazione, un mezzo per farlo cadere.
Da un lato, potenze «d’ordine», ossessionate dalla sorte poco brillante di Gheddafi, Ben Ali, Mubarak. Dall’altro, maggioranze inquiete ed esasperate che reclamano la fine dei massacri e la protezione internazionale delle popolazioni civili. Da che lato penderà  la bilancia? Assad riuscirà  a mantenersi al potere annientando una dopo l’altra le città  del proprio Paese? La teocrazia sempre più nucleare dell’Iran riuscirà  a controllare l’ostilità  dei cittadini? Putin riuscirà  nella falsificazione amministrativa delle elezioni presidenziali? Dovrà  fomentare un’epidemia di attentati da attribuire a immaginari nemici, per poi reprimere meglio i contestatari? Oppure, perché no, lancerà  una spedizione militare, simile alla seconda guerra in Georgia, per imporsi come uomo forte e inaffondabile della Russia? Last but not least (infine, ma non ultimo, ndr), i padreterni cinesi, in preda alla loro segreta guerra di successione, risolveranno le loro liti domando i contadini indocili, gli operai asserviti, i blogger insolenti e gli intellettuali dissidenti?
L’Europa ha torto ad aspettare con le braccia conserte che tutto si decida senza di lei. Non basta redigere faticosamente vane risoluzioni per un Consiglio di sicurezza sottomesso all’interdizione dei russi e dei cinesi. L’Unione Europea ha creduto che la caduta del Muro aprisse le porte a un Eden della fine della storia, a un’era di prosperità  senza guerre e senza crisi: ed eccola col suo piattino a implorare l’elemosina degli oligarchi di Pechino e Mosca. Dovrà  pur trovare l’energia di affrontare con i propri mezzi le sfide della mondializzazione, che non sono soltanto una questione di soldi. Bisognerà  ricordarsi di un’altra Europa, quella di Vaclav Havel, che in mezzo secolo si è risollevata dalle sue rovine e ha saputo congiungere dinamica democratica e propagazione di un’abbondanza generale anche se relativa. Quando a sud del Mediterraneo i cittadini si ribellano, ritrovano lo slancio delle «rivoluzioni di velluto» che emanciparono l’Est del continente. Quando coraggiosi internauti e intellettuali contestatari firmano pubblicamente la Charta 08 in Cina, si ricollegano esplicitamente alla Charta 77 dei liberatori di Praga. Durante il terribile XX secolo, l’Europa ha cominciato con l’inventare due mali supremi: la guerra totale e le rivoluzioni totalitarie. Poi, dopo il 1945, quella stessa Europa ha elaborato l’antidoto: il pensiero dissidente e le sommosse democratiche. Alla chetichella, ha creduto infine di poter sistemare gli uni e gli altri sotto il suo morbido guanciale. È giunto il momento, per l’Europa, di ravvedersi e di andare in soccorso dei popoli che seguono oggi l’esempio che essa ha dato ieri.
Come aiutare? E come aiutarci? Cominciando a parlare a voce alta, svelando i falsi pretesti che nascondono quel che di decisivo è in gioco. C’è un paradosso: ad armare fino ai denti il despota, ci pensano i suoi amici. Mentre agli oppressi vengono rifiutati i mezzi per difendersi. Come si può accettare che la loro protezione sia sottoposta al veto della non ingerenza? Mercato libero per gli assassini, abbandono in aperta campagna per le loro vittime? Diciamo con calma che i due Grandi, che a loro piacimento garantiscono la sopravvivenza dei dispotismi, sotterrano la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e di conseguenza sotterrano l’Onu che l’ha elevata a primo principio dopo gli abomini della Seconda guerra mondiale.
Queste modeste considerazioni, stimolate dalla più scottante e minacciosa attualità  internazionale, resteranno definitivamente estranee ai grandi dibattiti franco-francesi delle elezioni presidenziali?
(traduzione di Daniela Maggioni)

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