L’Esposizione di Milano e la profezia del 2015

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MILANO – Cosa c’era dietro lo scontro tra Boeri e Pisapia? Expo, lo sanno tutti. Adesso che a Palazzo Marino la calma sembra tornata, a mente fredda ci si può tranquillamente chiedere: ma chi aveva ragione? Dopo la sfuriata del sindaco, Stefano Boeri ha dovuto mettere la coda tra le gambe e rinunciare alle deleghe proprio sull’esposizione universale del 2015. Dietro il generico appello al rispetto della collegialità  invocato dalla giunta c’era il fastidio crescente di Giuliano Pisapia per il continuo controcanto dell’archistar sulla fiera internazionale. Si era detto di uno scontro di personalità  lontane fra loro. Può darsi, ma c’è dell’altro.
Il ballo del mattone
Il 2015 è la data fatale su cui Milano si gioca il tutto per tutto. L’economia della città  motore d’Italia ormai da decenni gira attorno al mercato edilizio e immobiliare, soprattutto grazie alla riconversione delle ex aree industriali. E’ su questo enorme flusso di affari e cemento che si riposizionano interessi e poteri fortissimmi. Gli ultimi industriali chiudono e svendono fabbriche ancora attive per puntare solo sul valore dei terreni. Le banche (Unicredit e Intesa in testa) lesinano credito alle imprese, ma sono invece esposte per miliardi di euro sul fronte delle speculazioni edilizie. Finanza e mercato immobiliare sono sempre più intrecciati. Ma gli immobiliaristi sono sempre più in crisi. Zunino è fuori gioco e Ligresti è sempre più in difficoltà , e sta per essere salvato in extremis da Unipol. Eppure è da questo gioco del mattone che dipende tutta la lunghissima catena di appalti e subappalti che si spartiscono cantieri, bonifiche e smaltimento rifiuti. Da questo dipende il lavoro nella regione più ricca d’Italia, e anche gli affari delle ormai accertate infltrazioni della ‘ndrangheta. La politica in Lombardia, e a Milano, negli ultimi venti anni si è occupata prima di tutto di gestire questo enorme business. Su queste fondamenta di cemento armato si è sviluppato il ventennio di governo delle destre e il lungo pontificato (quattro mandati) del governatore ciellino Roberto Formigoni, ma anche il ruolo succube, per non dire connivente, del centrosinistra di Filippo Penati & Compagni, impegnati a ricavarsi un posticino nella stanza dei bottoni cercando di spartire la torta tra Cooperative rosse e Compagnia delle opere.
Adesso, però, è tutto cambiato. La crisi mondiale del mattone prima, e la crisi mondiale poi, rischiano di fare saltare il banco. Il settore immobiliare è in stagnazione, la cuccagna è finita, la torta è molto più piccola e non basta per tutti. E se il castello di cemento crolla, tutti rischiano di crollare. Per questo ognuno cerca di salvarsi come può. Il bel mondo del business milanese è diventato un verminaio di interessi incrociati e contrastanti che si riverbera nell’implosione del sistema di governo delle destre, e nella crisi non ancora risolta del Pd. Expo rappresenta l’ultima spiaggia per tutti. Anche per Giuliano Pisapia, l’unico che con tutta questa storia non c’entrava proprio nulla e che però si trova a governare proprio nella fase più delicata. Ma questo è solo il primo di una lunga serie di paradossi legati alla fiera del 2015.
Il paradosso dell’Archistar
Non era passato neppure un giorno dalla vittoria di Pisapia, ed ecco servito il secondo paradosso. Boeri, l’architetto di alcune della maggiori speculazioni immobiliari, l’uomo nuovo del Pd del nord clamorosamente bastonato alle primarie, ha tentato di riciclarsi interpretando l’inedito ruolo di paladino ambientalista contro le colate di cemento. Da allora non ha mai perso occasione di sparare contro la giunta (e contro Pisapia). E’ stato questo «fuoco amico» insistito che ha portato allo scontro mal ricucito col sindaco.
Ma chi è, o meglio chi era Boeri, prima di scoprirsi star della politica? Insomma, da che pulpito viene la predica? Boeri ha realizzato il masterplan dei progetti sull’area destinata a Expo, quando Expo era ancora il fiore all’occhiello d Letizia Moratti. Da quando si è candidato, l’archistar ha difeso con le unghie il suo mitico orto planetario, ma sembra essersi dimenticato dei progetti di palazzoni previsti già  allora su quell’area, anche se le simulazioni sulle cubature previste su quei terreni restano archiviati negli scaffali del suo ufficio. Boeri è anche l’architetto che era stato chiamato per realizzare con urgenza i lavori per il G8 alla Maddalena. Visse sull’isola mesi senza accorgersi del giro incredibile di corruzione e malaffare che ruotava intorno alle sue opere architettoniche. E Boeri, soprattutto, è anche il progettista del cosiddetto «orto verticale» (due palazzoni «verdi» nell’ambito dell’impressionante colata di cemento sull’area Rrepubblica-Garibaldi). E’ l’architetto del Cerba, il mega centro di ricerca sognato da Umberto Veronesi da realizzare sulle aree del principe del mattone, Salvatore Ligresti, proprio nel mezzo della grande area agricola del parco sud di Milano. Ma allora, com’è possibile che proprio lui abbia potuto permettersi di rifarsi una verginità  attaccando Giuliano Pisapia su Expo e accusandolo nientemeno di fare il gioco di Roberto Formigoni e degli immobiliaristi speculatori?
La sconfitta di Letizia Moratti
Il trucco c’è, e sta nel fatto che Pisapia è entrato nella partita di Expo quando i giochi erano già  fatti e mancava un minuto alla fine. Quando è arrivato a Palazzo Marino mancavano poche settimana prima che il Bie, il comitato internazionale di Parigi, disgustato dall’infinita querelle tra Moratti e Formigoni, portasse via la fiera da Milano per manifesta incapacità  di realizzare l’evento. Il vincitore della partita, dopo tre anni di duri scontri con Letizia Moratti, c’era già  ed era Roberto Formigoni, il quale certo non ha versato troppe lacrime per la sconfitta dell’ex sindaco. Palazzo Marino non aveva i soldi per comprare i terreni di proprietà  di Fiera Milano (che dipende dalla Regione) e del gruppo Cabassi. Per questo la Moratti poteva solo puntare sul comodato d’uso. In pratica, se fosse andato in porto, Fiera e Cabassi avrebbero ceduto il diritto di utilizzare i terreni fino alla fine di Expo per poi riprenderli con la concessione di potere edificare su metà  dell’area a un indice di edificazione intorno allo 0,5%. Un affarone per Fiera Milano, che quei terreni li aveva acquistati per quattro soldi pochi anni fa, e che se li sarebbe visti super rivalutati. I Cabassi erano d’accordo, anche se loro quelle terre le possiedono da sempre e su quell’area avevano già  subìto sette espropri, pari a tre quarti della superficie orginale.
Boeri vs Cabassi
Ai Cabassi piace essere considerati degli «sviluppatori» (non immobiliartisti alla Ligresti) interessati, oltre che al business, anche all’idea di poter gestire al meglio i progetti per il dopo Expo. Lo stesso Boeri, pochi giorni prima di accettare la sfida delle primarie, aveva riconosciuto loro questa capacità  e li aveva indicati come i migliori candidati alla gestione del suo famoso orto planetario dopo il 2015. Eppure, un secondo dopo essersi lanciato in politica, come spesso gli è capitato, ha cambiato linea e non ha risparmiato duri attacchi anche ai Cabassi, dipingendoli come squali del mattone. Lo scontro non si è mai risolto tanto che la famiglia Cabassi sarebbe pronta anche a portarlo in tribunale per diffamazione, dove troverrebbe a difendere l’architetto un peso da novanta come l’avvocato Guido Rossi, amico storico della famiglia Boeri.
Lo strapotere di Formigoni
Ma torniamo all’infinito braccio di ferro per l’acquisto dei terreni. Chi invece i soldi per comprare l’area li aveva eccome era il solito Formigoni, o meglio la Regione (si parla sempre di soldi pubblici). Da qui l’idea: ventilare l’esproprio dei terreni in nome dell’interesse pubblico facendo poi acquistare a prezzi scontati l’area ad una società  creata ad hoc (ArExpo) – composta da Regione, Comune, Provincia, Fiera Milano e Camera di Commercio. Quindi, essendo l’unico in grado di comprare, Formigoni è riuscito mettere tutti sotto il suo dominio.
Ed ecco un altro paradosso: la vittoria di Giuliano Pisapia ha chiuso definitivamente la partita del governatore con la rivale Letizia Moratti. Formigoni è rimasto l’unico incontrastato principe di Expo. In pochi mesi è riuscito a ridurre il sindaco di Milano al ruolo di semplice controllore; e, soprattutto, gli indici edificatori delle aree sono stati confermati allo 0,52%, ma lo «sviluppatore» per il dopo Expo non saranno né i Cabassi – costretti a vendere a prezzi di saldo, prendere o lasciare – e neppure il Comune di Milano. Sarà  il solito giro del Pirellone, una delle Regioni con il più alto tasso di inquisiti d’Italia. 
La scelta obbligata di Pisapia
Quindi, anche se Boeri è l’ultimo che aveva i titoli per sollevare la questione, non aveva tutti i torti quando sostenne che Palazzo Marino, pur di non perdere i cospicui finanziamenti in arrivo da Roma per Expo, era rimasto schiacciato sulla linea di Formigoni. Il fatto che i terreni siano pubblici, infatti, non mette i milanesi al riparo dalla speculazione edilizia. Anzi. L’esborso di soldi pubblici (120 milioni, 80 alla Fondazione Fiera, 40 ai Cabassi anticipati per intero dalla Regione) impone di far fruttare al massimo quelle aree dopo l’Expo. Questo significa una cosa sola: costruire. Altro che parco agrolimentare, quello tanto caro a Boeri e soprattutto ai milanesi che per averlo hanno anche votato a larga maggioranza un referendum ambientale. E non è un caso se il giorno dopo la lavata di capo del sindaco a Boeri le mitiche serre dell’archistar siano diventate virtuali e gli orti abbiano lasciato il posto ad una più tecnologica e meno verde «Smart city». Mentre intorno all’area di Expo stanno per partire due enormi progetti edilizi: Cascina Merlata e le torri di via Stephenson. A Cascina Merlata cooperative «bianche» e «rosse» – insieme a Banca Intesa – costruiranno a partire da questa primavera 4 mila alloggi low cost e per l’housing sociale, supermercati e quattro torri per uffici su una superifice di 127 mila mq. Un’operazione immobiliare da 1,2 miliardi di euro. In via Stephenson sono in attesa di partire i progetti di Ligresti, torri altissime che saranno ridimensionate solo grazie alle modifiche del Pgt (piano regolatore) volute dalla nuova giunta di Palazzo Marino. Il sospetto è che Expo fornirà  i servizi per ciò che già  adesso sta per essergli costruito intorno.
Ma il paradosso più grande è che il Comune di Milano, nonostante sia l’istituzione con le casse più vuote, debba però sborsare più di tutti per l’Expo di Formigoni (magari tagliando anche su quelle voci che sono irrinunciabili per chi Pisapia lo ha votato). Palazzo Marino deve pagare 28 milioni e mezzo e cedere una parte dei terreni comunali per avere il 36,7% di AreExpo (stessa quota della Regione) ai quali vanno aggiunti 20,4 milioni in 4 tranches per le spese di gestione. Una realtà  difficile da accettare, anche perché il Comune forse avrebbe potuto tentare un’altra via: lasciare il gioco alla Regione senza sborsare un euro per i terreni e mantenere comunque l’ultima parola sulla destinazione urbanistica, visto che buona parte dell’area Expo è su territorio comunale. Il progetto originale, quello che aveva avuto anche la consulenza eminente di Carlin Petrini di Slow Food, è completamente snaturato e ridimensionato, i cantieri scontano anni di ritardo e molte strade e metropolitane connesse all’Expo non si concluderanno entro il 2015, ma il sindaco è costretto ad andare fino in fondo. E per questo sta facendo il possibile per portare a casa qualcosa di utile per la città , come, per esempio, la sistemazione della Darsena dei navigli e lavoro per i cassintegrati.
Ormai non si può fare altrimenti: questa è l’unica via percorribile per non buttare un’occasione d’oro e non lasciare a Roma i miliardi che dovrebbero arrivare per tutte le opere direttamente e indirettamente legate all’Expo. Tanto più adesso che al governo non c’è Silvio Berlusconi, e neppure Giulio Tremonti che all’esposizione universale non aveva mai creduto. Oggi ci sono i banchieri milanesi che nell’affare del mattone a Milano hanno investito moltissimo. E le banche adesso si trovano scoperte per miliardi e hanno una gran paura che prima o poi la bolla immobiliare milanese gli scoppi in faccia.


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