L’Eros Notturno dei Simbolisti

by Editore | 20 Febbraio 2012 6:27

Loading

PADOVA – Sospinti dalle recensioni così positive e favorevoli di Cesare de Seta e Lea Mattarella, malgrado il gelo e i ghiacci e benché tardivamente si accorre alla squisita mostra padovana «Il Simbolismo in Italia». E anche grazie agli eccellenti curatori – F. Mazzocca, M. V. Marini Clarelli, C. Sisi – ad ogni passo un flashback: «un nido di memorie in fondo all’anima». Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Nove, infatti, dietro la pittura si aggirano importanti schiere di letterati «d’accompagno», solleciti nello sprovincializzare, aggiornare, amalgamare, secondo le ormai diffuse corrispondenze per cui i suoni rispondono ai colori, e magari ai profumi e agli odori, in una mescolanza (anzi, «mescidanza») di simboli. Diego Angeli, Angelo Conti, Ugo Ojetti, Enrico Thovez, Antonio Fradeletto, Nino Barbantini, Vittorio Pica, e magari ancora l’appartato Gian Pietro Lucini…
In quella fine-secolo e all’alba delle novità  naturalmente giganteggiavano i Vati dell’epoca: l’Imaginifico e il Pascoli. Dietro o sopra ogni dipinto, si scorge tutto un dannunzianesimo di cà sseri, paliotti, obbrobri, oricalchi, reliquiari, palagi, pennacchi, pòllini, femmine, verghe, ninfe, trionfali solitudini in sublimi città  morte, quali Padova, Prato, Orvieto, Spoleto, Rimini… Anche tanti cigolii e cinguettii pascoliani, fra sussurri, tintinni, rondinelle, pecorelle, orfanelli, filugelli, cucitrici, crisantemi, camposanti, avemarie, singulti, pianti…
Nelle Belle Arti, così, trionfano piuttosto i salici piangenti, le vergini sognanti, le vecchiette meditabonde, le processioni dietro i morticini, le rattoppatrici crepuscolari, il match fra Eros e Thanatos con vittoria ovviamente di costui… Intanto, Icaro casca sempre dalle nuvole, le Sibille sono megere iettatrici, le Sirene trascinano ovviamente negli abissi, c’è sempre un maelstrà¶m lì pronto per i poveri disgraziati…
Quindi, contro ogni verismo e magari ammiccando al Liberty, anticipando il Futurismo o addirittura all’Art Déco, ecco Giovanni Segantini, Plinio Nomellini, Duilio Cambellotti, Adolfo De Carolis, Vittore Grubicy de Dragon, Luigi Conconi con «L’onda», benché secondo Carlo Dossi non avesse mai visto il mare e non avesse voglia di vederlo. E Pellizza da Volpedo, presso Voghera, dove si diceva che la domenica certi signori portavano i bambini a vedere «el pitùr», che regalava qualche quadretto, ma al ritorno li buttavano via dalla carrozza.
G. A. Sartorio esegue il lunghissimo e popolatissimo fregio danzante nell’aula di Montecitorio, nonché illustrazioni per Dante e D’Annunzio; e anche un curioso filmetto, «I Misteri di Galatea», ove una dama in tunica sciolta gesticola assai sobriamente come Eleonora Duse, spandendo petali e versando profumi da urne, immersa in una natura molto vegetale e scendendo presso il mare come una innamorata o sposa di onde e flutti. Ma ci si potrebbe soffermare più a lungo sul Sartorio de «Le vergini savie e le vergini stolte», perché (a parte la sfacciata ripresa della popolare «Salome» di Gustave Moreau, per due voluminosi angeli) figurano tra le stolte i più bei nomi femminili nell’aristocrazia romana, fra cui Maria Hardouin di Gallese, sposa dell’Imaginifico.
Chicche e bonbons in giro, pressoché dovunque. Danaidi nude con orci e giare, di A. De Carolis, in fila scombinata come in quel popoloso corteggio a Montecitorio. Malaticce estenuate su chaise-longue, di Angelo Morbelli, di cui si vede anche un desolato «Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio», che servì a Giorgio Strehler come base per le Cucine Economiche nell’ottimo «El nost Milan». Due disgraziate stremate e spompate di Gaetano Previati, su una panca murata, finite nel Vittoriale dannunziano, in una pittura filamentosa e flaccida come i salici piangenti di Guido Marussig.
Una vergine preraffaellita di Emilio Longoni suona il violino laddove da un lago alpino sgorga un ruscelletto… Un pescatorello di Luigi Rossi, elvetico, butta svogliatamente l’amo in una palude di ninfee ove si vedono riflesse nubi rosee in forma di chiappe… Chiari di luna e nebbie e nevi e buie notti tempestose fanno ovviamente riflettere: simbolismo di che?
Pittura molto letteraria? Certo, a parte le irruzioni erotiche spesso scontate dell’Imaginifico, e le celebri delicatezze funeste nella «Digitalis purpurea» del Pascoli, femminile e fattuale e per niente tremebonda anche sui métro d’oggidì. E parecchi referenti fanno parte con le loro ormai dispendiose incisioni delle nostre migliori famiglie: cacce ai centauri di Max Klinger, con giovanotti «à  poil» sui destrieri, nei campi di grano; Figlie del Reno di Fantin-Laotur con sontuosi manti esaltati dalla prolungata immersione; Diane diurne e Veneri notturne valorizzate con impatti coloristici da Maurice Denis; Félicien Rops, che quale epitome d’ogni satanismo produce ermafroditi festeggianti con nacchere, e Cristi da vetrata, esultanti perché un ceffo gli lecca i piedi. E naturalmente Klimt, con nudi sfolgoranti, espansivi…
E a Venezia, Mario de Maria, con un saluto al suo atelier dei Tre Oci, poi pensione, ogni volta che si passava davanti alla Giudecca. Ma che pochezza, quella «Sala d’Arte del Sogno» alla Biennale del 1907, con quadri appesi malissimo, nonostante la presunzione forse spocchiosa. Qui, i densi intensi dipinti di Galileo Chini fanno rammentare qualche occhiata furtiva ai suoi affreschi nel padiglione italiano della Biennale, e al Palazzo Reale di Bangkok. E sono una vera scoperta i magnifici marmi di Pietro Canonica, mai neanche sospettati passando spesso davanti al suo museo-atelier di Villa Borghese, con due tristi monumentini militari sul piazzaletto.
Brutta sorpresa, invece, per l’Immaginario Aristocratico in bianco e nero: molti Alberto Martini, deludenti anche perché fra tanti mostriciattoli seppe fare uno stupendo ritratto di Wally Toscanini, ricoperta di perle. E si può sorridere, qui, rammentando che il compagno di Wally, Emanuele di Castelbarco, acquistò la «Diavolessa» di Martini, sottraendola dunque alla suddetta cosiddetta «oasi di purezza» alla Biennale.
Soprattutto, gioverà  ricordare allora la mostra milanese (alla Biblioteca di Via Senato) che pochi anni fa riuniva col titolo «Tra note e colori» i dipinti acquistati dal Maestro Arturo Toscanini. Con artisti spesso in comune con questa mostra: Grubicy anzitutto, e poi Segantini, Fontanesi, Michetti, Morelli, Grosso, nonché gli scultori Troubetzkoy e Wildt. E addirittura un ritratto della danzatrice Cia Fornaroli, nuora del Maestro, ed eseguito dal compositore neoromantico Riccardo Pick-Mangiagalli.
E poi, qui a Padova, ma come provenienti da una remota mostra londinese su «The Amazing Bugattis», un salotto con due meraviglie di Carlo Bugatti in materiali lussuosi, un paravento da caminetto, e uno sgabello alto. E fra i due, un «Convegno mistico» di Vittorio Zecchin, fastosa rivisitazione in smalti e perline veneziane della famigerata «Digitalis purpurea» pascoliana. Sculture così così di Leonardo Bistolfi e Libero Andreotti. Esercizi di Umberto Boccioni e Giacomo Balla prima del Futurismo. Un Trittico molto muscolare di Luigi Bonazza su Orfeo, accanto a una Cleopatra vecchia e sfatta di Previati. Neanche un Garibaldi, o un simbolo del Risorgimento trascorso.
Così, fra i più illustri artisti acquistati alle Biennali veneziane, e a parte qualche autoritratto serioso (ma neanche un Bà¶cklin), ecco soprattutto una «Giuditta» di Klimt che potrebbe anche essere una «Salome». Decapitatrice biblica erotica, comunque, giacché impegnata con una mano verso il proprio organo voluttuario con l’altra regge distrattamente per i capelli e quasi lascia andare la testa del decollato, ormai… Altro che le Artemisie, che lo sanno, di averla fatta grossa! Ed ecco «Il Peccato» – una Venere nudona in pelliccia, chiome sciolte e serpente al collo – di Franz von Stuck, soprattutto celeberrimo ritrattista cui si rivolgevano le dame alla moda per avere una propria effigie («ma senza peccati», raccomandavano; e una di quelle principesse viennesi, progressiva ma forse un po’ grulla, all’istruttore automobilista che le chiedeva «come va il suo sterzo, altezza serenissima», rispondeva «bene, grazie e tutti i suoi come stanno?»).
© Alberto Arbasino

Post Views: 173

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/02/leros-notturno-dei-simbolisti/