L’austerità  dell’alveare europeo

by Editore | 1 Febbraio 2012 9:33

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O praticano la malafede più spudorata o rivelano l’ignoranza più crassa. Ma è più caritatevole ipotizzare la seconda, perché all’ignoranza si può rimediare, mentre la malafede non può che incancrenirsi. Per loro intendo i Cameron, le Merkel, i Monti. E per ignoranza intendo il prescindere del tutto da un testo classico che sta all’economia come il Principe sta alla politica: come l’opera di Machiavelli fu la prima a reclamare l’autonomia della ragion di stato dall’etica familiare, della «virtù politica» dalla morale, così la favola di Mandeville per prima mostrò che la prosperità  di una società  non dipende affatto dalla moralità  dei suoi cittadini: anzi rigore e austerità  la mandano in malora. 
Il poemetto (400 versi) di quest’olandese di nascita e inglese di elezione (1660-1733) s’intitola appunto La favola delle api e narra di un alveare di insetti corrotti, disonesti, giocatori, goderecci, ubriaconi, vanitosi, scialacquatori. Ma i banchetti richiedono cibi e vini a iosa che devono essere prodotti da uno stuolo di allevatori e agricoltori. Per le danze servono abiti cuciti da una miriade di sartine con tessuti filati da innumerevoli telai, mentre intere flotte sbarcano da oltremare legni esotici, spezie, seterie, profumi: a fare prosperare l’alveare erano quindi «grandi moltitudini», «milioni che si sforzavano di soddisfare ognuno la concupiscenza e la vanità  degli altri; mentre altri milioni si dedicavano a consumare i manufatti. Rifornivano metà  dell’universo, ma avevano più lavoro che lavoratori».
Quell’alveare sembra la nostra Italietta: «I loro re erano serviti, ma disonestamente, imbrogliati dai loro stessi ministri…»; persino il concime che si vendeva era mischiato a terra e ghiaia, e la giustizia aveva «lasciato cadere la bilancia, corrotta dall’oro».
«Così», e questa è la rivoluzionaria conclusione di Bernard de Mandeville alla prima parte del suo poemetto, «ogni parte era piena di vizio, ma il tutto era un paradiso»; «i loro delitti contribuivano a rendere grandi le api» e «la virtù …. aveva stretto amicizia con il vizio; e da allora anche il peggiore dell’intera moltitudine faceva qualcosa per il bene comune: questa era l’arte politica, che reggeva un insieme di cui ogni parte si lamentava».
Ma in questa prospera società  «ognuno gridava “Maledetti gli imbrogli” e, pur essendo consapevole dei propri vizi, non sopportava assolutamente quelli degli altri».
Finché Giove, irato, alla fine «giurò di liberare lo schiamazzante alveare dalla frode». Tutti divennero onesti e austeri. Ma eliminati i furti e la delinquenza, «per primi marcirono i fabbri, con serrature e grate, catene e porte rinforzate di ferro; poi i carcerieri, secondini e aiutanti, … infine … i sergenti, i funzionari di polizia di ogni tipo, ufficiali giudiziari…».
E poiché l’onore non consentiva più di fare debiti (ascolta Merkel) «le livree finiscono nelle botteghe dei rigattieri, rinunciano alle carrozze in cambio di un nulla, vendono interi equipaggi di magnifici cavalli e case di campagna, per pagare i debiti. Le spese inutili sono evitate come la frode».
Il risultato è che «non soltanto se ne erano andati quelli che ogni anno spendevano grandi somme, ma le moltitudini che vivevano grazie a loro devono ogni giorno fare lo stesso. … Crolla il prezzo della terra e delle case… l’arte edilizia è spacciata… L’età  frivola e volubile è passata, e gli abiti, come le mode, durano a lungo. I tessitori .. e tutti i mestieri subordinati sono andati via». Ora l’alveare è probo ma in rovina e, conclude Mandeville, chi vuole l’onestà , deve essere pronto «a nutrirsi di ghiande».
Certo, noi non siamo api, e non viviamo nel ‘700. E se andiamo in rovina non avremo nemmeno più ghiande, perché le querce sono state già  tagliate. Ma il monito di quell’alveare dovrebbe essere impresso nella mente dei nostri governanti, che invece lo ignorano e fanno finta di credere che una società  può investire nel futuro senza indebitarsi, che si può creare lavoro senza spendere, che si può incoraggiare il commercio senza importare. Quest’ultimo punto va ricordato in particolare ad Angela Merkel, visto che gli 80 milioni di tedeschi esportano quasi quanto 1,3 miliardi di cinesi. Nelle sua note Mandeville chiosa infatti: «Concluderò … assicurando i campioni della frugalità  nazionale che sarebbe impossibile per i persiani e gli altri popoli orientali acquistare le grandi quantità  di bella stoffa inglese di cui fanno consumo, se coprissimo le nostre donne con una minore quantità  di seta asiatica». Sia gloria a Mandeville.
Ps. Uso la traduzione di Tito Magri nell’unica edizione italiana in commercio de La favola delle api», quella edita da Laterza (prima edizione 1987, ristampa del 2011). Le sottolineature sono mie.

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