L’inferno della valle più isolata d’Italia dove si può morire al gelo barricati dentro un Tir

by Editore | 7 Febbraio 2012 11:55

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VAL ROVETO – «Lassù non ci andate» ci dicono a notte già  fonda gli uomini dell’Enel venuti a posizionare un generatore di corrente per alimentare frazioni al buio da quattro giorni. Dio solo sa come sono arrivati fin qui. Sono sbucati dal bosco con un mezzo pesante, lo hanno parcheggiato su una piazzola e fatto uscire dai lati del mezzo braccia equilibratrici simili a quelle di un’astronave. Pare una scena di “ET”, e la scritta “Enel” luccica nel buio come se dicesse “arrivano i nostri”. “Lassù” vuol dire la parte alta della Val Roveto in direzione di Avezzano. Fino a un certo punto si sale, dicono quasi ridendo, ma poi il raccordo fra la superstrada 690 e la Roma-Aquila è «un delirio», a causa dei camion abbandonati di traverso sul ghiaccio e la neve. Hanno passato strade inverosimili, e non sanno che il peggio deve arrivare. Non c’è nessuno che dica ai “supereroi” al servizio di quali frazioni mettere il gruppo elettrogeno, che resterà  lì a lungo inutilizzato.
Da giorni la valle è all’oscuro di tutto. I telefoni hanno taciuto per 48 ore, e le uniche notizie sulle strade, sui morti, sui bisogni della povera gente arrivano solo col passaparola fra automobilisti. Per sapere le cose bisogna piazzarsi sulla strada e aspettare, ma spesso sono dicerie ripetute e non verificabili. Si dice per esempio che a valle, nel Comune di Sora, che presidia la Valle Roveto, si faccia polemica invece di operare, col sindaco che accusa l’esercito di avergli chiesto “coperture finanziarie” in cambio dei soccorsi, e l’esercito che accusa il municipio di incompetenza. Gli autisti delle pale meccaniche litigano fra loro, intralciandosi; i soldati si limitano a trasportare i malati e a portare cibo a qualche famiglia isolata, per il resto Dio provvede.
Su tutti incombe il mal comune, con montagne tremende battute dai lupi e segnate da valanghe, e quell’inverno terribile dovrebbe stringere patti di solidarietà  fra gli uomini. Invece no, c’è egualmente tensione fra i soccorritori nell’Ultima Valle, la più disastrata e la più abbandonata da Dio e dagli uomini, un posto dove si può morir di freddo e di stenti in macchina o barricati dentro un Tir, ai caselli autostradali e persino nelle case. Finanza, Carabinieri e Polizia si parlano ancor meno del solito. I vigili del fuoco sono di pessimo umore per via dei mezzi lesinati. Persino gli Alpini dell’Aquila non brillano in cortesia. Chiedo: avete idea della situazione delle strade?. Risposta: «Noi non c’entriamo nulla, chiedete ai Carabinieri. Noi ci limitiamo a fare la spola con la scuola di Sora», il posto dove sono accampati i naufraghi. Vabbè.
L’isolamento non è solo da neve, ma è causato pure da mancanza di coordinamento e conflitti di competenza. La valle è imbottigliata dai camion messi di traverso sulla superstrada e dalle auto abbandonate, ma anche per un diaframma di appena due chilometri sulla parte bassa della statale 82, nell’ultimo lembo di terra abruzzese, spalato solo alla buona, neanche due metri e mezzo di larghezza, insufficienti per traffico in doppio senso. Praticamente una trincea, dove se due autocolonne si incrociano, una delle due deve arretrare senza che ci sia nessuno a spartire il traffico. A Balsorano, Collepiano, Sora e dintorni, ormai tutti parlano apertamente di “frontiera”, quella sul torrente chiamato non a caso “Confino”, che separa Abruzzo e Lazio come fossero Stato della Chiesa e Regno delle due Sicilie. Due regioni che non si amano e non si parlano, alla faccia del federalismo.
«Potete andare dove volete, ma non verso Avezzano, la valle è un inferno» ammonisce il benzinaio di Sora. Non gli dico che vengo per l’appunto da lì. Versa il pieno di benzina e avverte che è anche l’ultima, perché i rifornimenti ci sono e non ci sono. Sora ha poca neve, ma la linea ferroviaria che la attraversa con direzione Avezzano è ancora bloccata, si afferma, causa alberi caduti sulla linea. Una scusa che nasconde un’altra verità , cioè che le Ferrovie, per risparmiare, hanno tagliato da anni la manutenzione dei binari e soprattutto il taglio del bosco a lato dei medesimi. Sono caduti anche i ripetitori della telefonia mobile: per chilometri, attorno alla cittadina, non c’è la minima possibilità  di ricezione, il che rende la vita ancora più difficile agli automobilisti. Il meteo dice ancora freddo e ancora neve. I vecchi tornano a casa dai negozi alimentari con sporte enormi di cibo.
Uscendo dalla morsa abruzzese verso Frosinone su una strada perfettamente pulita ho la definitiva conferma che ci sono due Italie. Quella degli autogrill, delle grandi stazioni, dei caselli e dei gate d’aeroporto, che viene tenuta in esercizio, spazzata, sorvegliata e coccolata dai media. E l’altra Italia, quella profonda, antica e montanara, che compare nei telegiornali solo in caso di terremoti, alluvioni e delitti. Quella che riattiva alla chetichella le frontiere pre-unitarie e sente in modo ormai irrimediabile la distanza della madrepatria.

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