La vita si evolve per errore

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Nel 1944 il grande fisico viennese Erwin Schrà¶dinger pubblica un libro — Che cos’è la vita? — destinato a trasformarsi presto in un classico visionario. Solo nove anni dopo, infatti, Francis Crick e James Watson identificano il doppio filamento «a elica» del Dna, confinando l’ipotesi di Schrà¶dinger — che vede il nostro patrimonio genetico concentrato in un «cristallo aperiodico» — nel repertorio della fantabiologia.
Con la sua competenza duplice di fisico e genetista, Edoardo Boncinelli riprende oggi proprio la domanda di Schrà¶dinger, in un libro che smonta a ogni passaggio il pregiudizio sull’aridità -opacità  delle spiegazioni scientifiche, esaltandone — a rovescio — il senso di meraviglia e di vertigine; un senso tanto più acuto quanto più quelle spiegazioni diventano dettagliate e «riduzionistiche». Omaggio a Lucrezio o meglio a Leopardi (di cui non a caso certi estratti — specie dalle Operette morali — vengono messi a sigillo finale di ogni capitolo), il libro non ha però nulla di antireligioso o anticlericale, come vorrebbe il titolo-spot (La scienza non ha bisogno di Dio, Rizzoli); semplicemente, dimostra come la visuale della scienza (l’aprirsi di nuovi paesaggi cognitivi o di un nuovo modo di guardare quelli abituali) deleghi la trascendenza ad altre discipline, dalla filosofia alla teologia.
Procedendo nella lettura, il macro e il micro (galassie e cellule, stelle e molecole) sono sempre collegati per nessi e richiami. Eppure, a libro finito, sembra di aver seguito una macchina da presa in avvicinamento-restringimento; un passaggio graduale da un telescopio a un microscopio, dalla freddezza degli spazi interstellari (appena 3° sopra lo zero assoluto, che è a -273° rispetto al «nostro» zero) alle migrazioni cellulari nel corpo umano, orchestrate nella «luce del genoma» (del patrimonio genetico). In questa messa a fuoco, Boncinelli non trascura nessuna sequenza. E se dalla scrematura cosmica della Terra (4,5 miliardi di anni fa) fino all’apparizione della prima informazione biologica, forse di Rna (700 milioni di anni dopo) tutto dipende dall’interazione tra il materiale biochimico e le condizioni dell’ambiente (la temperatura stessa, l’atmosfera, le fortissime radiazioni solari), da lì in poi la vita degli organismi viene plasmata dall’evoluzione e dalla selezione naturale. Due, soprattutto, le sequenze decisive: il passaggio degli organismi alla riproduzione sessuata (circa 2 miliardi di anni fa) e — in prospettiva antropocentrica — l’azione delle piante e dei miliardi di microrganismi fotosintetici, senza i quali non sarebbe esistito (e non esisterebbe) l’ossigeno che respiriamo. 
Risultato di vincoli fisico-matematici, proprietà  biochimiche e pressioni selettive, ogni essere vivente è così, nella definizione sintetica di Boncinelli, «una determinata quantità  di materia organizzata, limitata nel tempo e nello spazio, capace di metabolizzare, riprodursi ed evolvere»; il tutto, però, autonomamente, come ben dimostra la differenza tra i batteri (i veri «vincitori» della lotta evolutiva) e i virus, genomi vacanti che devono parassitarsi ad altri organismi. E più in generale, per tornare alla domanda di Schrà¶dinger, la vita può darsi solo in presenza simultanea di tre parametri: materia, energia e informazione, armonizzati in una condizione di «equilibrio dinamico» (di ordine temporaneo) all’interno di un universo tendente al disordine e alla «morte termica». 
Questo equilibrio dinamico, nei viventi, è possibile solo grazie all’attività  costante del Dna (o meglio del genoma). Ed è proprio qui, nella descrizione dettagliata di tale attività  nell’uomo (specie nella fase dello sviluppo) che il libro trova il suo nucleo più profondo e avvincente, perché Boncinelli padroneggia come pochi tutte le fasi della complessa cadenza spaziotemporale tra i geni (accesi o silenti) e le proteine (da prodursi nel posto giusto al momento giusto); cadenza che innesca il differenziarsi e moltiplicarsi delle cellule, portandole ad aggregarsi in tessuti, organi, apparati, fino all’organismo compiuto. A una così fitta, armonica orchestrazione, contribuiscono anche, va da sé, sia certi incanalamenti molecolari casuali (quelli che determinano, per esempio, un condotto auricolare sinistro più stretto di quello destro), sia, soprattutto dopo lo sviluppo, l’ambiente e l’esperienza individuale. 
L’aspetto più paradossale (in apparenza) è come questa catena di eventi e processi biologici necessiti — perché l’evoluzione non si arresti — di errori di «copiatura» nella trascrizione dell’informazione dal Dna all’Rna messaggero, cioè nella fase intermedia verso l’attivazione delle proteine e del differenziamento cellulare. La copia-Rna è infatti una strategia, «appresa» in milioni di anni, per prevenire danneggiamenti del genoma; ma l’errore (raro come quello di una dattilografa ogni 500 mila cartelle) è alla base di quelle «mutazioni» necessarie nell’adattamento degli organismi all’ambiente. Certo, le mutazioni sono anche responsabili (dal nostro punto di vista) di derive patologiche: in termini brutali, presiedono alla varietà  cromatica di una farfalla e al cancro. Ma ci ricordano come la vita (in quanto evoluzione dei genomi più e prima che dei relativi organismi) sia una tessitura di continuità  e variabilità , di conservazione e incessante riorganizzazione della materia. 
L’implicito finale aperto del libro connette, di nuovo, il macro al micro, accomunati dalla quantità  (e qualità ) delle regioni sconosciute, dato che si definisce «oscura» la materia cosmica non ancora decifrata (il 90 per cento circa) e «oscuro» il 70 per cento di Dna non strettamente genico. In realtà , in tutti e due i casi si intravede più di un bagliore: nel primo caso, gli studi sulla natura dell’antimateria e delle sue particelle elusive; nel secondo, quelli sui micro-Rna, decisivi nella stessa regolazione dei geni. 
Nell’esplorazione della vita, macro e micro non sono mai davvero separabili: l’uomo non può conoscere il cosmo senza conoscere se stesso, e viceversa.


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