LA TRANSIZIONE ITALIANA E LE TENSIONI IN VATICANO

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C’erano ben dieci ministri «tecnici». E mezz’ora prima che l’incontro finisse sono arrivati anche i segretari della maggioranza trasversale che sostiene Mario Monti: Angelino Alfano del Pdl, Pier Luigi Bersani del Pd e Pier Ferdinando Casini dell’Udc. Il cerimoniale messo a punto dall’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco, è stato accurato anche nel simbolismo: esecutivo anomalo, ma anche partiti. Davanti alla delegazione vaticana guidata dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e dal presidente della Cei, Angelo Bagnasco, sedeva il governo. Ma doveva essere chiaro che alle spalle dell’Esecutivo restavano i partiti rappresentati in Parlamento; e necessari per la sua sopravvivenza.
La prima celebrazione dei Patti Lateranensi dell’era post-berlusconiana si è consumata in un clima di cordialità  protocollare e di curiosità : forse soprattutto da parte dei vertici della Santa Sede nei confronti di quello strano tecnocrate che in tre mesi ha oscurato un’immagine dell’Italia e sta riuscendo a imporne un’altra. Non a caso Bertone ha iniziato riconoscendo a Monti la capacità  di restituire credibilità  e protagonismo internazionale al nostro Paese: un complimento esteso, sul piano dell’attività  europea, al ministro Enzo Moavero Milanesi. E il silenzio col quale i cardinali hanno ascoltato il presidente del Consiglio ha confermato una sensazione di rispetto e di attenzione. Il formalismo non è riuscito a rendere freddo il loro scambio di vedute.
Forse perché c’era già  stata l’udienza di Benedetto XVI al premier; e nelle scorse settimane palazzo Chigi e il Vaticano, ma soprattutto la Cei, probabilmente avevano già  avuto modo di impostare un reticolo di contatti informali: si trattava di capire quale potesse essere una soluzione al rompicapo dell’esenzione dall’Ici per alcuni immobili della Chiesa cattolica italiana, e non solo, sui quali la Commissione Ue aveva aperto un procedimento di infrazione. È difficile dire se sul colloquio abbia aleggiato quell’argomento. Di certo nessuno l’ha evocato né citato, nemmeno sotto forma di battuta.
Il fatto che un compromesso sia a portata di mano, avallato quasi preventivamente dalle istituzioni europee, ha di certo sgomberato il campo dal contenzioso. L’emendamento spiegato l’altro giorno a Bruxelles da Monti «costituisce un progresso sensibile», ha anticipato ieri il vicepresidente della Commissione Ue, Joaquin Almunia: sebbene la Cei si riservi un residuo di prudenza, o di diffidenza, in attesa di leggere il testo finale che per ora hanno soltanto palazzo Chigi e lo stesso Almunia. Ma comunque vada, «non sarà  il problema dell’Ici a mettere in discussione o inquinare i rapporti», fa notare il presidente del Senato, Renato Schifani.
Monti, Bertone, Bagnasco hanno potuto discutere, seguendo un canovaccio ordinato, senza sorprese, di coesione sociale, di carceri, di misure per accrescere la solidarietà . Poi, quando all’incontro si è aggiunto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’orizzonte si è allargato a Medio Oriente, Libia, Europa. È stato proprio il capo dello Stato a dire per tutti, alla fine, che i colloqui erano andati «benissimo». D’altronde, l’immagine di un governo italiano che in apparenza si muove senza conflitti vistosi, non è più messo in mora dagli scandali, e ha dietro uno schieramento in grado almeno di mimare l’unità  nazionale, rappresenta una novità .
È una novità  gradita ad un Vaticano e ad una Chiesa italiana che hanno insistito a lungo affinché si superasse un bipolarismo dai contorni rissosi ma inconcludente; e si cercassero obiettivi condivisi, suggeriti peraltro ripetutamente dallo stesso Napolitano. In un Esecutivo che, per quanto anomalo, punta a rilegittimare l’Italia all’estero e cerca di arginare le spinte centrifughe al suo interno, la Chiesa vede un’occasione da non sprecare. E quando insiste sulla coesione sociale, non si può non vedere una larvata preoccupazione per alcuni fenomeni di disgregazione: tanto più dopo che negli ultimi anni le gerarchie avevano appoggiato o comunque non ostacolato il federalismo della Lega, oggi sfigurato e annullato dalla deriva estremista del Carroccio.
Si è avuta l’ennesima conferma che nel gioco di specchi fra Stato e Chiesa emerge una capacità  ormai rodata di collaborare e di puntare su obiettivi comuni. Anche se le parti sembravano quasi invertite, questa volta. Ieri c’era un governo italiano che sta facendo di un esperimento di concordia anche istituzionale il suo punto di forza. E, dall’altra parte, invece, era schierata una Santa Sede agitata ultimamente da tensioni, in certi casi perfino convulsioni interne che la fanno sembrare più «italiana» dell’Italia; e non nel significato migliore del termine.
Il risultato è di fare apparire Monti e il suo governo ibrido interlocutori ancora più preziosi, in questa fase. Quanto sta avvenendo in Italia è una sorta di modello di pacificazione dall’alto che molti, perfino il Vaticano, osservano con un misto di interesse e stupore: impressione accresciuta dal successo e dall’apertura di credito che la comunità  internazionale sta offrendo a palazzo Chigi. Non va trascurato, però, un tratto personale del presidente del Consiglio: lo stile pacato, la sua famiglia, e una laicità  rivendicata e praticata senza rinunciare alle sue convinzioni religiose. Conta anche questo, benché rimanga qualcosa di non detto: quasi fosse un’altra anomalia «tecnica» destinata a essere archiviata, come il governo Monti, tra un anno o poco più.


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