by Editore | 7 Febbraio 2012 8:08
Il gas mancherà o non mancherà ? L’inverno del 2012 passerà alla storia come un anno critico per le sorti energetiche del Paese. Ma per avere una ragionevole certezza del «lieto fine» bisognerà che una regola non scritta sia rispettata: quella secondo la quale è altamente auspicabile che non vada fuori uso più di una linea di rifornimento alla volta. Gli esperti, nel loro gergo, parlano di «enne meno uno», e con il gasdotto della Russia che perde colpi e il rigassificatore dell’Alto Adriatico bloccato dal maltempo (onde fino a 5 metri che impediscono l’attracco delle navi metaniere) ci siamo sostanzialmente arrivati.
Per un Paese come l’Italia, che per la sua energia dipende al 90% dall’estero e che copre il 40% dei suoi bisogni civili e industriali con il gas naturale (un altro 40% è petrolio, cosa che di certo non rassicura), una prescrizione come questa diventa fondamentale. Un’occhiata alla mappa dei gasdotti e alle rotte marittime interessate permette di comprendere la situazione più di mille parole. Le arterie principali che nutrono la fame di energia dell’ottava economia del mondo arrivano da Algeria e Russia. L’interruzione totale di una sola delle due metterebbe in ginocchio il sistema di approvvigionamento. Su base giornaliera, se ci riferiamo allo scorso 2 febbraio, verrebbero a mancare 80-90 milioni di metri cubi su 420. Finora non ci si è mai arrivati, ma negli anni scorsi ci si è andati vicini. Ad esempio nell’inverno 2005-06 e nel 2008 con le «guerre del gas» Russia-Ucraina. Mentre pochi ricordano che nel dicembre 2008 l’ancora di una nave strappò una delle 5 condotte del tubo dall’Algeria nello stretto di Messina, bloccando per settimane il flusso di gas.
Ma andiamo avanti: subito dopo i due gasdotti principali arrivano quello dal Nord Europa e il libico Greenstream, pari rispettivamente a 35-40 e 16-18 milioni di metri cubi al giorno. Quello libico, è storia recente, ha ricominciato a trasportare metano solo da pochi mesi, e a prezzo di enormi sforzi degli uomini dell’Eni. Ma è rimasto fermo per mesi dopo la rivoluzione anti-Gheddafi della primavera 2011. E l’inverno precedente, tanto per rimettere in fila tutti gli eventi «sfortunati», una frana nel Canton Berna aveva bloccato per mesi il tubo proveniente dal Nord Europa.
Tutti fatti imprevedibili, è vero. Per di più – in un momento di bassi consumi generalizzati come negli ultimi anni – accolti persino con favore da clienti che hanno potuto invocare una «causa di forza maggiore» per non pagare forniture altrimenti inutilizzabili. Ma la casistica delle disavventure, mai avvenute in contemporanea tanto da indurre a qualche scongiuro, serve a mettere in evidenza la fragilità di un sistema che probabilmente non si è mai diversificato abbastanza. E che con questa sua rigidità di fondo ha anche mancato di cogliere delle «occasioni» favorevoli: con qualche rigassificatore in più (un investimento che forse i consumatori accetterebbero di sostenere in bolletta) si sarebbe potuto pagare il gas ai prezzi più favorevoli del mercato «spot», risparmiando fino al 20%.
Ora invece, oltre che sulla buona sorte, bisognerà fare conto soprattutto sulle riserve immagazzinate negli «stoccaggi» (i vecchi giacimenti esauriti da tempo che si trovano soprattutto nella Pianura Padana) e nelle contromisure d’emergenza prese dal Comitato per la Sicurezza. Gli stoccaggi, però, funzionano con il «principio del palloncino». Quando sono pieni e in pressione, all’inizio dell’inverno, possono arrivare a fornire fino a 260-270 milioni di metri cubi al giorno, ma alla fine della stagione, quando sono un po’ più «spompati», si scende a 150 milioni. Nel 2006, l’anno difficile della crisi ucraina, erano pari a 12,9 miliardi di metri cubi. Ora, dopo 6 anni, siamo saliti a 14,7 miliardi, compresi 5,1 miliardi di «riserve strategiche», quelle che la leader di Confindustria Emma Marcegaglia vorrebbe utilizzare subito. Un incremento non proprio spettacolare, verrebbe da dire, nella speranza che non ci sia da pentirsene. Sempre nel 2006 si applicarono le medesime contromosse decise ieri, e il distacco degli «interrompibili» durò quasi un mese, dal 23 gennaio al 22 febbraio. Fu autorizzata l’entrata in funzione delle più inquinanti centrali a olio combustibile per risparmiare il prezioso gas. Un terzo delle riserve strategiche fu intaccato.
Nulla, tuttavia, è a costo zero. Allora, per le tasche degli italiani, l’emergenza si tradusse in una ulteriore tassa di 400 milioni di euro. L’Autorità presieduta da Alessandro Ortis dovette riconoscere 66 milioni di euro all’Enel come reintegrazione per i maggiori oneri sostenuti con l’uso delle centrali a olio. Ci fu il tempo persino per qualche battuta salace in vista delle elezioni: «Il gas non è mancato grazie alla mia amicizia con Putin», disse Berlusconi. «Mi chiedo di quale gas Berlusconi abbia parlato con Putin», rispose il Ds Massimo D’Alema.
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