La “catena umana” di Mosca torna in piazza contro i brogli di Putin

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LA TV di Stato continui pure a ignorarli, a dire che sono solo una moda passeggera. Loro sono là , in cinquantamila, sotto la neve. Sventolano nastrini, sciarpe, palloncini, qualunque cosa che sia bianca. Il colore che, ormai a Mosca, vuol dire: “Una Russia senza Putin”. Tutti lo sanno, non serve ripeterlo. Sono apparsi dal nulla, sbucando all’unisono alle 14 in punto dai sottopassaggi della metropolitana o dalle viuzze trasversali, secondo un piano quasi segreto concertato su Internet e nei passaparola delle università , degli uffici, dei condomini. Ci sono giovanissimi a capo scoperto e vecchietti imbacuccati, bambini in carrozzina, contadini con il cappotto buono arrivati all’alba dalla provincia. Si tengono per mano lungo i marciapiedi del Sadovoie Kolzò, l’Anello dei Giardini che circonda il centro storico della capitale. È una catena umana lunga esattamente 15 chilometri e seicento metri disposta su un cerchio d’asfalto composto da 17 strade e 15 piazze. Ci vogliono venti minuti per percorrerlo tutto a bordo di un’auto. E non si nota un solo buco. In molti tratti i “nastri bianchi” sono anche in doppia o tripla fila; sorridenti e sereni sotto lo sguardo disarmato dei temibili “Omon”, le truppe antisommossa, schierate dalle prime ore del mattino con i loro vecchi autobus, e il loro ostentato corredo di manganelli e manette. 
A una settimana dalle elezioni presidenziali del 4 marzo che Vladimir Putin, senza rivali significativi, si appresta a vincere al primo turno, Mosca lancia l’ennesimo segnale di protesta contro il meccanismo elettorale. E sceglie il modo più anonimo e unitario possibile, senza bandiere, con pochissimi slogan. Niente palchetti, niente comizi. Bisogna camminare e aguzzare la vista per individuare il blogger anti corruzione Aleksej Navalnyj con moglie e figli o, un paio di chilometri più in là , l’ex vicepremier eltsiniano Boris Nemtsov. E ancora il campione mondiale di scacchi Garry Kasparov, o la bionda ecologista Evgenja Cirikhova con il suo piccolo gruppo dei “verdi della foresta di Khimki”, per l’occasione vestiti solo di bianco. Tutti mimetizzati, volutamente sparpagliati, in una massa che appare più compatta e omogenea delle altre volte. 
E l’effetto visivo è quello voluto di una società  civile appena nata che si gode un happening a tre gradi sottozero nell’ultimo giorno del Carnevale russo. I bagagliai di vecchie auto parcheggiate sul marciapiede fanno da posti di ristoro estemporanei che distribuiscono gratuitamente tè nero bollente e blinì con la marmellata. Si fermano in tanti ad approfittarne. Perfino qualcuno di quel centinaio di giovani dei movimenti putiniani con un cuoricino rosso di cartone e la scritta “Manca una settimana alla vittoria di Putin!”. Erano venuti per fare azione di disturbo. Li ha scoraggiati il numero dei rivali, la loro gentilezza, e la tentazione irresistibile prodotta da un bicchierino di tè bollente quando nevica e tira vento.
La manifestazione non è autorizzata. Anche per questo si sta attenti a evitare slogan politici evidenti, si interrompe compostamente la catena umana ad ogni passo carrabile o stradina laterale. Ogni pretesto può essere buono per giustificare un arresto o un intervento da parte della polizia. E l’arma più efficace è l’ironia. Nell’unico grande slargo del Kolzò, di fronte ai cancelli del Gorkij Park, i soliti Automobilisti Organizzati, affiancano le auto della polizia con le loro vecchie Zhigulì. Hanno nastrini bianchi dappertutto ma soprattutto un finto lampeggiatore fatto con un secchiello di plastica blu rovesciato e incollato sul tetto. Una caricatura in diretta. Ma non perseguibile. Un agente prova ad allontanarli. Loro chiedono “Perché?” e gli porgono i documenti. Lui si mette a ridere e torna in auto.
E poi la beffa più divertente: il falso allarme. Sui blog si era parlato di un pupazzo di Putin da bruciare sulla Piazza della Rivoluzione. È bastato a far schierare in tutta la zona un migliaio di agenti in assetto di guerra. Alla fine sono rimasti tutti con il naso in aria a guardare una foto di Putin levarsi in cielo legata a un grappolo di palloncini e alla scritta quasi innocente: «Vola via».
Sorrisi e ottimismo ma anche qualche ombra. Lo scrittore Boris Akunin, cancellato dalle tv dopo il suo ingresso nella schiera degli anti Putin, dà  voce a una preoccupazione che gli altri preferiscono esorcizzare: «Finora ci ignorano e mostrano grande tolleranza. Ma non so cosa accadrà  dopo le elezioni quando il potere sarà  più sicuro di sé». Sorride amaro ai giornalisti occidentali mentre sventolano migliaia di nastri bianchi: «Non vorrei che questa fosse l’ultima manifestazione pacifica di Russia».


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