La differenziata insostenibile

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Gli operatori hanno un salario insufficiente o semplicemente non ricevono salario; il vero motore del sistema sono quindi le mance e la vendita dei materiali riciclabili. Ogni passaggio di un rifiuto da una mano all’altra corrisponde a una piccola transazione economica non ufficiale. Lo spazzino prende i rifiuti a domicilio in cambio di mance, e poi li consegna agli operatori dei camion ai quali dà  una percentuale di quanto ottenuto. Una dinamica articolata e piena di regole non scritte, che garantisce l’efficienza del sistema e la sopravvivenza degli operatori. 
Questo delicato equilibrio è entrato improvvisamente in crisi in seguito all’ultimatum del governo federale che ha ordinato la chiusura della mega-discarica di Bordo Poniente, dove era convogliata gran parte della spazzatura prodotta nella capitale. Dovendo trovare siti alternativi entro il 2011, il governo cittadino ha tentato di ridurre il flusso di rifiuti imponendo la separazione dell’organico in tutta l’area urbana. Dopo 10 mesi del nuovo sistema, l’amministrazione ha comunicato l’avvio a compostaggio del 70% della frazione organica. Un buon risultato, in apparenza: ma in grandissima parte è prodotto dalla separazione manuale fatta dal personale della raccolta. Con forti rischi sanitari (è tutto fatto a mani nude), con ore extra non rimborsate e con un livello di esasperazione vicino al punto di esplosione. Com’è possibile? Non solo l’operativo della raccolta non è stato dimensionato per raggiungere i nuovi obiettivi, ma neanche sono stati adottati strumenti in grado di obbligare o perlomeno indurre i cittadini a separare nelle loro case. E infine, non sono state prese in considerazione le dinamiche informali su cui poggia l’intero sistema. 
Le autorità  municipali si sono limitate a stabilire con un editto che la separazione è a carico dei cittadini. Senza farsi responsabile del reale svolgimento dei fatti, ma applicando severissime sanzioni ai lavoratori che non conferiscono le frazioni ben separate presso i centri di trasferenza. Non riuscendo a rispettare le nuove regole i lavoratori tendono a gettare l’organico dove possono… e in pochi mesi le discariche abusive sono salite a 800!
I 1500 pepenadores (separatori di rifiuti) espulsi da Bordo Poniente, dal canto loro, hanno rifiutato un’offerta di lavoro precario offerta dall’amministrazione in qualità  di compensazione, e si preparano alla mobilitazione. 
Che fare? Fallita l’opzione «command e control», c’è chi guarda al collasso del sistema come opportunità  per scardinare ogni logica sindacale facendo subentrare privati, con contratti di servizio teoricamente più «razionali» e controllabili – ma che in realtà  non riuscirebbero a internalizzare i costi reali oggi coperti dalla dinamica informale. C’è anche chi spera in investimenti milionari per tecnologie presentate come fossero capaci di far sparire magicamente i rifiuti, ma che hanno già  dimostrato da tempo i loro limiti in termini di impatto ambientale e sostenibilità  economica. 
Come modernizzare il sistema senza portarlo al collasso? In un numero crescente di paesi del sud del mondo gli esperimenti di integrazione delle economie popolari nei sistemi di gestione ambientale stanno offrendo buoni risultati di raccolta differenziata e danno vita a percorsi di emersione e reingegneria di processo caratterizzati da incredibili elementi di vantaggio competitivo e sociale rispetto ai modelli europei. La via d’uscita dalle crisi da «modernizzazione» che affliggono non solo Città  del Messico ma tutte le città  del sud del mondo, potrebbe essere proprio un modello di gestione dei rifiuti fondato sul partenariato pubblico/popolare.


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