La crescita val bene dei morti in più

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«Tecnicamente» la si potrebbe definire un incentivo a lasciare perdere e facilitare, quindi, il verificarsi di incidenti gravi e gravissimi sul lavoro. Magari anche qualcosa di più… Parliamo dell’art. 14 del «decreto semplificazioni» che – al comma 4 – prevede almeno tre vie per evitare che le aziende «soffrano» controlli dalle autorità  sul rispetto delle normative di sicurezza. Il testo, per ora, si limita ad affidare al governo una «delega» perché emani, entro sei mesi, le norme attuative; le linee di indirizzo, invece, sono esplicitate fin da subito. La logica-quadro è quella di «favorire la crescita» economica, sacrificando – se necessario – tutto il resto.
Si raccomanda dunque di istituire una «commissione» per scrivere i decreti attuativi in regime di «concertazione». Tutto bene? Neanche per sogno: a far la parte dei «consulenti» saranno chiamate soltanto le imprese, i sindacati restano fuori. Già  questo fatto, da solo, costituisce un vero e proprio attentato alla normativa sulla sicurezza, perché «squilibra» il peso degli interessi in campo: il lavoro – l’unico che abbia l’esatta percezione del «pericolo» che viene corso – non viene nemmeno consultato.
Questo trattamento di favore deve esser sembrato ancora poco ai «tecnici» assisi sulla poltrona di ministro. Alla lettera «d» dello stesso comma 4, quindi, viene imposta la «collaborazione amichevole con i soggetti controllati, al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità ». Per chi conosca l’Italia e la «fermezza» dei controlli sulla sicurezza – compresa l’annosa disputa sulle competenze a farli, tra le Asl che dipendono dalle Regioni e gli Ipl del ministero del lavoro – questo invito alla «collaborazione» suona come un implicito «non disturbate» l’attività  produttiva. Ovvero il contesto reale entro cui si può misurare il grado di rischio di determinate attività . Per dire, ispezionare un macchina in movimento o una ferma dà  risultati diversi. Non a caso l’identica espressione («amichevole») era contenuta nei vari testi che Maurizio Sacconi aveva elaborato per ottenere lo stesso risultato finale.
La certezza logico-matenatica arriva con la lettera «f» del dannato comma 4: «soppressione o riduzione dei controlli sulle imprese in possesso della certificazione del sistema di gestione della qualità  (Uni Iso-9001, ecc) o altra appropriata certificazione emessa». In pratica: quelle aziende che hanno ottenuto una certificazione non subiranno più controlli. E quindi nessuno potrà  mai sapere se all’interno le condizioni cambiano al punto da cancellare i requisiti di sicurezza adeguati allo status garantito dalla «carta».
Non c’è bisogno di immaginare un’impresa in mano alla malavita per capire che questo combinato disposto di «indicazioni» cancella – in prospettiva, certo, ma in modo chiaro – la questione della sicurezza sul lavoro e la funzione degli appositi delegati sindacali eletti dai dipendenti. Se accostiamo poi a quanto detto l’insistenza sull’abolizione dell’art. 18, abbiamo un quadro ancora più limpido all’atto pratico. Nessun lavoratore o delegato potrà  più, «in piena coscienza e indipendenza», protestare per l’assenza o insufficienza di misure di sicurezza – come già  ora per i lavoratori precari – senza correre il rischio di venir licenziato (non subito, magari) per aver fatto valere un banale diritto all’incolumità  e alla vita (mica a diventar «privilegiato»). Come suonano lontane le parole che il presidente Napolitano pronuncia ogni volta che – per numero di morti o assurdità  della situazione – qualche tragedia sul lavoro irrompe sui media: «gli infortuni e le morti sul lavoro costituiscono un fenomeno sempre inaccettabile e non può abbassarsi la guardia, riducendo gli investimenti nel campo della prevenzione e della sicurezza sul lavoro».
E come suonano invece attuali quelle di Giulio Tremonti alla Berghem-fest di due anni fa: «robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci. Sono l’Unione europea e l’Italia che si devono adeguare al mondo». Solo che ora c’è Monti, supportato anche dal Pd.


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