by Editore | 14 Febbraio 2012 13:24
La risposta della società di Cupertino è arrivata ieri, con l’annuncio di una mega ispezione all’interno delle officine dei suoi maggiori fornitori, incluse le fabbriche cinesi della Foxconn a Shenzhen e Chengdu. L’indagine, che prevede interviste a migliaia di lavoratori, è stata affidata alla Fair Labor Association, un’organizzazione non profit specializzata nella promozione del lavoro sicuro nel mondo e nel contrasto al lavoro minorile.
Verranno indagate le condizioni di lavoro e di vita, la salute, la sicurezza, la retribuzione, gli orari e i rapporti gerarchici e disciplinari. Le ispezioni si svolgeranno all’interno delle strutture produttive e negli alloggi, mentre sarà accuratamente analizzata la documentazione sulle procedure nelle varie fasi del lavoro. E i risultati saranno pubblicati all’inizio di marzo sul sito dell’organizzazione (www.fairlabor.org).
L’iniziativa è dettata innanzitutto dalla volontà di rimediare al danno di immagine che le condizioni delle fabbriche asiatiche (peraltro frutto, secondo l’«accusa», dell’aggressiva politica organizzativa del successore di Steve Jobs, Tim Cook) recano a Apple nel medio e lungo termine. Ovvio, non si tratta di uno scoglio tagliente sul quale l’azienda rischia di naufragare. Ma certo di una perdita lenta di reputazione che alla lunga può fare molto male.
L’aspetto però più interessante è che l’iniziativa stabilisce un precedente importante sul mercato globale, a cui i sindacati internazionali potranno cercare di appellarsi in altri casi di «delocalizzazione» dove siano in discussione diritti fondamentali di civiltà .
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