Immobili Adesso il Fisco colpisce anche all’estero

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Le pretese del Fisco non hanno più confine. Non è solo un modo di dire figurato. E, nei prossimi mesi, quando scadrà  l’appuntamento con le dichiarazioni dei redditi, se ne renderanno ben conto i contribuenti che posseggono una casa fuori dal suolo patrio. Dovranno infatti fare fronte al pagamento della Ivie (Imposta sul valore degli immobili all’estero), introdotta dall’articolo 19 del decreto legge 201/2011, il cosiddetto Salva Italia. Una sorta di Imu per chi ha investito all’estero. In realtà  una vera e propria patrimoniale perché a differenza dell’Imu non si nasconde nemmeno sotto il paravento di corrispettivo per i servizi prestati dal comune. Il gettito previsto è, comunque, basso: 100 milioni di euro.
Su che cosa si paga 
La norma prevede che sia soggetto imponibile il contribuente proprietario di immobili ubicati all’estero «ovvero il titolare di altro diritto reale sullo stesso». La base imponibile è costituita dal costo di acquisto risultante dai contratti, o, in mancanza, dal valore di mercato. L’imposta è pari allo 0,76% (la stessa aliquota prevista per l’Imu sugli immobili diversi dall’abitazione principale) e si paga con le modalità  previste per l’Irpef. E’ deducibile l’imposta patrimoniale eventualmente già  pagata dal contribuente allo Stato straniero.
I problemi interpretativi non sono né pochi né di poco conto, almeno fin quando non giungeranno i necessari chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate. 
Un primo punto riguarda la definizione di imposta patrimoniale pagata all’estero. In Francia, dove si registra la maggior parte di acquisti immobiliari di italiani extra confine, grava sugli immobili la taxe fonciere, equivalente alla nostra Ici/Imu e una tassa sui patrimoni di valore superiore a 1,3 milioni di euro. Non è chiaro se rientri o meno tra le imposte patrimoniali che danno diritto alla detrazione. In Gran Bretagna, e in particolare a Londra, dove si concentrano da sempre gli acquisti dei nostri connazionali, di norma non si compra un immobile ma se ne acquisisce il «lease», ovvero il diritto a occuparlo per un tempo determinato (di norma 30 anni), perché il terreno è della Corona, o dei Landlords che lo hanno a loro volta affittato dalla Corona. Si può considerare il lease alla stregua di un diritto di superficie o è un contratto di locazione?
Anomalie
E ci sono almeno due altre clamorose incongruenze nella norma. Le segnala Alessandro Dragonetti, partner head of tax Studio Bernoni: «L’imposta — sottolinea — è dovuta anche da una categoria di contribuenti che, probabilmente, non ne hanno ancora ben compreso l’ambito applicativo. Si tratta delle persone fisiche fiscalmente residenti in Italia sebbene originari o provenienti da altri Stati. Il problema è che si è presunti residenti quando si è presenti nel nostro Paese per oltre la metà  del periodo di imposta e quindi, ad esempio, i manager di multinazionali operanti in Italia dovranno pagare anche per le case che posseggono nel loro stato d’origine, dove presumibilmente torneranno al termine della loro attività  professionale in Italia».
Non solo. La norma non consente di dedurre le passività . «In pratica — spiega Dragonetti — un immobile viene tassato per il suo valore di acquisto o di mercato sia se è posseduto senza vincoli dal contribuente sia quando è ancora gravato da un mutuo. Ipotizziamo una casa del valore ai fini Ivie di 200mila euro e su cui grava un mutuo con debito residuo di 100mila euro: l’apporto che la casa dà  al patrimonio reale del contribuente è di 100mila euro: se vendo per 200 devo ridare 100 alla banca e a me ne restano 100. Ma l’imposta grava su tutti i 200mila euro, il che è evidentemente ingiusto perché l’imposta è patrimoniale».


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Forse perché si esprime in cifre e senza aggettivi, l’ultimo rapporto «Moneta e banche» della Banca d’Italia porta una notizia che non attrae l’attenzione della politica come meriterebbe. Da settembre scorso rispetto a dodici mesi prima, il credito alle imprese è sceso di oltre 38 miliardi. È un calo del 4,2%, superiore alla velocità  di contrazione dell’economia: già  solo questo suggerisce che la caduta del credito non è dovuta solo al fatto che le imprese ne chiedono di meno. Devono esserci altre cause.

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