Il Volontariato della Cultura
«Mi piace, perché leggendo posso addormentarmi senza che nessuna guardia mi svegli», ha scritto su un post-it un lettore della bolognese Sala Borsa. Sala Borsa è la biblioteca multimediale di piazza Nettuno, pieno centro della città . Un tempo, alla fine dell’Ottocento, qui si scambiavano merci, bestiame e titoli. Ora alle cinquemila persone che tutti i giorni vi transitano hanno chiesto di completare la frase «Sala Borsa mi piace perché… ». E quella era una delle risposte. Un’altra recitava: «Perché “io barbone” quando piove o fa freddo ho un riparo ma soprattutto perché “posso” acculturarmi leggendo un buon libro il che non è poco, grazie».
Antonella Agnoli ha raccolto i post-it nel suo iPad e li porta sempre con sé. Da alcuni anni si fa promotrice in Italia di quelle che nel mondo anglosassone chiamano le public library e che lì si sa benissimo cosa sono. Non sono le biblioteche di conservazione, con gli scaffali grigi, i libri in ordine, le lampade liberty e le sale manoscritti riservate agli studiosi. Patrimonio indispensabile alla cultura di una nazione, eppure in Italia costrette a combattere per sopravvivere. Quelle alle quali lei pensa sono “piazze del sapere” (si intitolava così il libro che ha pubblicato da Laterza alcuni anni fa), luoghi in cui si fornisce un servizio multiplo: libri, certamente, e poi giornali, studio, collegamenti a internet, musica, caffè, poltrone, spazi per bambini, per le riunioni di associazioni e comitati, per i corsi più vari, dall’informatica all’ikebana, dal lavoro a maglia alla lingua cinese o all’italiano per stranieri. Luoghi di socialità . Tenuti in vita da bibliotecari di professione e da volontari. Servizio culturale e welfare. «Infrastrutture democratiche», le chiama, spazi essenziali soprattutto laddove si raggrumano vecchie e nuove povertà , solitudini e fatica di vivere.
La Agnoli, cadorina di nascita e di lingua, ha diretto la biblioteca di Spinea (vicino a Venezia) e inventato quella di San Giovanni di Pesaro, per tanti aspetti esemplare, di cui è stata direttrice fino al 2008. Ha appena scritto Caro sindaco, parliamo di biblioteche (Editrice Bibliografica, pagg. 140, euro 12). E da qualche tempo è diventata una specie di consulente itinerante di gruppi di cittadini, di volontari e anche di amministratori locali che la lezione anglosassone vogliono metterla in pratica. Anglosassone, poi, fino a un certo punto. Nei quartieri più difficili di Londra, come Tower Hamlets, funzionano gli Idea Store, di cui è responsabile anche un bibliotecario italiano, Sergio Dogliani. Ma per trovare un paese che vanta un trend vorticosamente positivo occorre andare in Colombia: a Bogotà le biblioteche non sono tantissime, 52, ma sono frequentate ogni anno da 5 dei 7 milioni di abitanti. Il che ha indotto l’Unesco a proclamare la città “Capitale mondiale del libro” nel 2007.
Tre giorni fa Antonella Agnoli ha girato fra Caivano, Cardito, Crispano e Frattaminore, paesi a nord di Napoli, verso Caserta. Realtà difficile, al limite della disperazione (discariche, abusivismo, caos edilizio, camorra). Eppure amministratori e soprattutto un gruppo di giovani si sono detti convinti che «una biblioteca con i suoi nuovi spazi e laboratori diviene un’istituzione fondamentale in una società democratica». «Lo hanno scritto in un documento intitolato La città che vogliamo, con il quale si sono presentati alle elezioni amministrative», racconta Antonella Agnoli. «Alla biblioteca chiedono ambienti di lavoro e di studio armoniosi, luoghi di accesso a internet, spazi autogestiti. Chiedono inoltre che contribuisca all’educazione permanente degli adulti: una serie di servizi che un’amministrazione pubblica intelligente non può ritenere superflui in un’area tanto mortificata, certamente più sensati di certe sagre, festival o premi letterari».
È spesa sociale, insiste la Agnoli. La sola parola welfare evoca l’idea dello spreco in chi pensa che bastino gli accomodamenti del mercato ad alleviare povertà e incultura. «Ma studi americani dimostrano che un welfare culturale riduce le malattie da depressione, dunque più soldi per la cultura sono meno soldi per la sanità . E ancora: nel 2010 il 68 per cento di chi cercava lavoro negli Stati Uniti ha inviato il suo curriculum da una biblioteca. Significa che le biblioteche, anziché sparire perché c’è il web, come profetizza qualcuno, sono un passaggio essenziale anche per accedere alla rete: molti di quel 68 per cento prima aprivano internet da casa, poi, perso il lavoro, hanno tagliato le spese di connessione».
In Italia solo il 10 per cento degli ultrasessantacinquenni ha familiarità con internet. E nel 2015 avranno oltre sessantacinque anni 13 milioni di italiani. Dice Antonella Agnoli: «Non esiste luogo migliore di una biblioteca per offrire agli anziani un’elementare alfabetizzazione informatica: vogliamo che vadano in un internet caffè?». Sono molte le cause che allontanano i lettori dai libri. «Ma quante di quelle settecentomila persone che, secondo l’Istat, l’anno scorso rispetto al 2010 si sono tenute alla larga da una libreria lo hanno fatto perché con tre figli e 1.200 o 1.400 euro al mese non ne hanno potuto spendere 20 per un romanzo? Questi lettori può recuperarli la biblioteca. Ma quale biblioteca?».
Non è un compito che possono assolvere le gloriose Marciana di Venezia o Nazionale di Firenze. Ma la biblioteca delle Balate del quartiere Albergheria, centro storico depresso di Palermo, sì. È una delle iniziative virtuose che segnala la Agnoli, molte delle quali spuntano al Sud. Biblioteca per bambini e adolescenti, le Balate è l’unica del capoluogo siciliano. È retta da volontari, con un contributo della Fondazione Unipolis, e da Donatella Natoli, una vita spesa nelle zone più degradate della città , prima come medico e ora come guida per una quarantina di piccoli lettori ogni giorno. Piccoli lettori difficili, oltre a lettori grandi, frequentano anche il Centro Hurtado diretto dal gesuita Fabrizio Valletti e la biblioteca Le Nuvole a Scampìa, Napoli. La Fondazione Unipolis ha aiutato Bibliocasa, la biblioteca sistemata in un prefabbricato dell’Aquila, a Piazza d’Arti, e animata da Nicoletta Bardi e da un gruppo di volontari (ora c’è anche un autobus che distribuisce libri nella martoriata e dispersa città ). «I volontari sono indispensabili», spiega Antonella Agnoli, «i bibliotecari dipendenti dagli enti locali sono sempre meno e sempre più anziani. Sono generosi e competenti, senza di loro una biblioteca non funziona, ma ce ne sono anche di demotivati. Assunzioni non se ne fanno. Subentrano le cooperative, ma alcune pagano 5 euro l’ora, un compenso da sfruttamento che non induce a un atteggiamento cordiale e garbato, essenziale invece in una biblioteca: molto meglio i volontari». A Torino sono impegnati in tantissimi servizi, fra musei e siti storico-artistici. Poi c’è il caso di Giovanni Galeazzi, un pensionato che tutte le mattine da Mestre va all’Archivio di Stato di Venezia (lo ha raccontato Carlo Mazzacurati nel film Sei Venezia). «Ad Avellino un gruppo di persone aderente ai Presìdi del libro ha raccolto soldi in città , comprato scaffali, donato giornali e riviste, allestito tre postazioni internet e colorato gli arredi della biblioteca Nunzia Festa. Ma soprattutto ha consentito che le sale fossero aperte anche il pomeriggio. Una biblioteca accessibile dalle 9 alle 13 non è una biblioteca».
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