Il Professore scopre l’importanza dei sondaggi
È Monti ma sembra (quasi) Berlusconi dal modo in cui il premier compulsa i sondaggi. Certo, i dati economici hanno la priorità su quelli demoscopici, ma c’è un motivo se il governo si è dotato di un report con cui misurare la temperatura del Paese e del Palazzo. Che sia a capo di un esecutivo «tecnico» o «politico», poco importa: a Monti serviva uno strumento di cui si serve, e che con cadenza quindicinale gli fornisce un’analisi accurata sull’umore dell’opinione pubblica, sul gradimento dei provvedimenti di governo in cantiere, e sullo stato di salute dei partiti. Come racconta uno dei suoi uomini più fidati, «l’approccio del premier a numeri e percentuali è quello dell’economista abituato a studiare i mercati, e che ora deve fare i conti con il suo ruolo di uomo pubblico».
E non c’è dubbio che Monti abbia già fatto uso dei sondaggi, in più occasioni. Presentando le liberalizzazioni, per esempio, si è notata una sua puntualizzazione sulla riforma, che «sarà pure osteggiata dalle categorie interessate, ma piace alla stragrande maggioranza dei cittadini». I dati di una ricerca lo confortavano in tal senso. Persino le sue perplessità sulla candidatura italiana alle Olimpiadi non sono dettate solo da ragioni diplomatiche e da valutazioni sui risvolti economici del progetto, ma sono sostanziate anche dai risultati di uno studio. Perché sarà pur vero che il 65% dei cittadini è favorevole a ospitare i Giochi del 2020, ma la percentuale scende ben al di sotto del 50% quando si parla della necessità di investire soldi dello Stato: in questa fase l’opinione pubblica è poco propensa alla spesa e molto preoccupata dello spreco.
Mannheimer, che ha un rapporto di antica data con Monti, ricorda quando — all’inizio del suo mandato — presentò un sondaggio al capo del governo da cui emergeva la disponibilità degli italiani ai sacrifici: «Ne rimase sorpreso. “È un miracolo”, mi disse. Ed è chiaro che si nutra di rilevamenti. Gli servono per sapere qual è la reazione della gente ai provvedimenti. E siccome questo, a sua volta, determina l’atteggiamento dei partiti, il premier sa come dosare le sue proposte». Sarà pure un gabinetto tecnico, ma i voti deve prenderli comunque in Parlamento.
Quei fogli zeppi di dati e grafici sono una miniera di informazioni per Monti, «gli consentono — spiega Pagnoncelli — di aggiustare il tiro sulle norme da varare, di correggere la propria rotta, se necessario. E servono anche a stabilire il timing nell’azione di governo». Non è casuale se — dopo aver varato la riforma draconiana delle pensioni — l’esecutivo ha rallentato il passo sulla riforma del mercato del lavoro, che incontra scarsi consensi tra i cittadini. Così come non è casuale se il premier continua ad andare in tv, parlando ogni volta del provvedimento «inevitabile», come a voler preparare il terreno. Certo, sospira Bersani, «in tv ci va tante volte». «L’avessi fatto io…», sorride Berlusconi.
Ma c’è una differenza sostanziale tra il Cavaliere e il suo successore, è la differenza che passa tra il politico e il tecnico, tra la ricerca del consenso e la ricerca dell’assenso, e che consente a Monti di esprimersi anche in modo «politicamente scorretto». La battuta sulla «monotonia del lavoro fisso», è stata analizzata dalla Ghisleri, i cui sondaggi sono vangelo per Berlusconi. Ebbene, secondo la responsabile di Euromedia research non si sarebbe trattato di una gaffe: «Piuttosto Monti ha evidenziato una realtà conosciuta soprattutto dai giovani. Ha rivelato una verità che non si può raccontare, e che per i politici è tabù. Se l’ha detta è perché non è alla ricerca del consenso».
Appunto, è l’assenso che interessa al premier. Ogni volta che gli consegnano i report, Monti sottolinea come sia preoccupato di capire se, e in che misura, un provvedimento abbia prodotto «risultati percepiti» nell’opinione pubblica. Ecco il motivo per cui c’è una forte oscillazione nell’indice di gradimento settimanale per il premier, dai tre ai sei punti percentuali, come risulta anche dall’ultima rilevazione di Mannheimer, che al fixing di ieri dava in risalita Monti: «Dal 53% al 58%». Secondo Pagnoncelli questi sbalzi «non si erano mai registrati negli ultimi venti anni. Il punto è che il giudizio sull’operato del governo e del premier è oggi libero della zavorra del tifo, cioè dell’appartenenza politica a uno schieramento».
Così Monti si differenzia da Berlusconi, sebbene dedichi del tempo ai sondaggi. Non è dato sapere perché abbia chiesto report quindicinali e non settimanali, di sicuro ha voluto un’analisi approfondita su particolari temi: tra questi ci sarebbe anche il famoso «spread». Così il premier vuol misurare la temperatura del Palazzo e del Paese, e colpisce «il delta», come lo definisce il capo di Ipsos, tra la fiducia (alta) per Monti e il consenso (basso) verso i provvedimenti varati. «La spiegazione — secondo Pagnoncelli — sta in due fattori: il premier non nasconde i problemi agli italiani e li tratta da “adulti”; eppoi è rapido nell’azione di governo. Questo lo accomuna a Berlusconi del 2008, quando intervenne subito sui rifiuti di Napoli e sull’abolizione dell’Ici». Un’era fa.
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