Il miliardario e il barone, chi sono i colpevoli

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TORINO – «Sono un imprenditore, un cittadino, un padre, un escursionista, un collezionista d’arte e un filantropo». Così si definisce sul suo sito Stephan Schmidheiny, 64 anni, da ieri ritenuto colpevole per la strage dell’Eternit e per questo condannato a 16 anni di carcere. Discendente di una dinastia di industriali, vedovo da un anno e padre di due figli, chi lo conosce sostiene che la sentenza lo abbia ferito profondamente, ritenendola una grande ingiustizia. Non soltanto perché quando salì al comando dell’Eternit, nel 1974, a 27 anni, ereditò una situazione già  presente da oltre 70 anni, ma soprattutto per l’impegno profuso nel corso della sua vita a favore dell’ambiente, dell’ecologia, e dello sviluppo sostenibile (come ha scritto anche in un libro). 
Alla morte del padre, l’impero degli Schmidheiny fu diviso in due: a lui furono affidate le redini dell’amianto, al fratello Thomas quelle del cemento. Nel 2011 fu inserito da Forbes alla posizione 393 tra gli uomini più ricchi del mondo, il quinto in Svizzera, con un patrimonio da 2,9 miliardi di dollari. «Ho dedicato una parte importante del mio patrimonio e del mio tempo – dice di sé – a promuovere una nuova forma di filantropia. Come imprenditore ho cercato di creare una ricchezza economica e sociale, ma al tempo stesso ho voluto proteggere e migliorare anche l’ambiente. Ho sempre desiderato promuovere un cambiamento sociale positivo, aiutando specialmente coloro che ne avevano più bisogno e salvaguardando le generazioni future». 
Stephan Schmidheiny, laureato in legge, salito al potere cominciò dopo poco a promuovere l’abbandono della lavorazione dell’amianto. Ma il suo autoritratto stride con l’immagine emersa nel corso dell’inchiesta: quella di un uomo che si è sempre sottratto alle sue responsabilità , è sfuggito alle richieste di interrogatorio del pm, al contrario del fratello Thomas che invece si presentò dal procuratore Raffaele Guariniello e diede impulso alle indagini spiegando la divisione dell’impero e il ruolo tutt’altro che secondario di Stephan nelle decisioni aziendali anche fuori dalla Svizzera. Un uomo, Stephan, che ha cercato fino all’ultimo giorno di risarcire in via extra giudiziale le parti civili per estrometterle dal dibattimento. Non si è mai presentato in aula, come del resto non ha mai fatto neanche Jean Louis De Cartier De Marchienne, 91 anni: due fantasmi, i due imputati, che hanno affidato la loro difesa a un pool di legali italiani, ma che per anni hanno tentato di manipolare l’opinione pubblica e occultare la pericolosità  dell’amianto, e di tenere bassa l’attenzione mediatica. Tuttavia, come è emerso dai documenti dell’osservatorio Bellodi sequestrati dalla procura, era stato lui stesso ad ammettere involontariamente le sue responsabilità  come il vero burattinaio degli stabilimenti italiani dell’Eternit, quando aveva ammesso: «Non vengo in Italia perché ho paura di essere arrestato».


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