Il Gruppo Abele in difficoltà  lancia un appello ai senza eredi

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E’ convinto che ce la farà , anche questa volta. Sul tavolo di don Luigi Ciotti, 66 anni, presidente e fondatore del Gruppo Abele e numero uno di Libera (il network tra associazioni che si battono contro la mafia, e che ora risucchia gran parte delle sue energie) ci sono le bozze per una nuova campagna di comunicazione. Stremato dalla crisi, dai nuovi poveri che ogni giorno si sommano ai vecchi, il Gruppo Abele ha problemi economici, fatica a pagare gli stipendi e gli interessi delle banche, è costretti a chiudere alcune delle sue attività . La campagna non chiede soldi (quella è ordinaria amministrazione, e Ciotti la fa senza enfasi; in dicembre un bollettino postale è stato diffuso insieme a Famiglia Cristiana) ma eredità : “Non ti scorda di noi”, è lo slogan. 
“Non lanciamo appelli, non chiediamo aiuti, sappiamo che molti padri di famiglia stanno peggio di noi  –  racconta il prete arrivato dal Veneto e diventato il simbolo della solidarietà  torinese  –  Però sappiamo che molte persone sono senza eredi, e ogni tanto qualcuno pensa a noi, una boccata d’ossigeno. E in questo materiale cerchiamo di spiegare come fare”. 

Mentre corre da un capo all’altro dell’Italia a parlare di mafia, di terreni confiscati, di lotta al gioco d’azzardo, don Luigi ripassa dalla sua casa, una ex fabbrica in corso Trapani che l’avvocato Agnelli volle regalargli personalmente, per occuparsi dei guai. Come la chiusura di ‘Piero e Gianni’, una delle cooperative del consorzio ‘Abele Lavorò dove 25 persone lavoravano a costruire panchine e arredi per i giardini pubblici che ora le amministrazioni pubbliche non si possono più permettere. Ex carcerati, uomini e donne con storie di tossicodipendenza o di malattia alle spalle che non possono essere lasciati soli: “Lavoriamo in gruppo per inventare qualcosa per ciascuno di loro”. Non è l’unica ‘sofferenza’ interna: le cooperative del Gruppo aiutano chi ci lavora a ritrovare il filo della propria vita, e paradossalmente proprio per questo arrivano al punto di saturazione (quando lo svantaggio ‘certificatò cessa, le persone dovrebbero andarsene, ma questo non fa parte della filosofia del Gruppo). 

Anche ‘Oltre il muro’, che si occupa di digitalizzare documenti, patisce per gli effetti della crisi e ha perso un appalto che arrivava da Telecom. Diminuiscono le entrate collegate a progetti, e pagate perlopiù dalle Asl, cioè dalla Regione: le unità  di strada, le comunità  (spesso le uniche) che si occupano dei poveri più poveri degli altri, dai malati di Aids alle donne con bambini piccoli che devono fuggire da chi le maltratta. E i conti vanno in crisi: nel 2010, il bilancio di Abele si è chiuso su uscite per 8,22 milioni (il 42 per cento dei quali destinate agli stipendi) e entrate per 7,63 milioni, il 2011 non andrà  meglio. 

In una situazione del genere, chiunque griderebbe ‘al lupo’. Ma Ciotti dice: “Spero in un mondo dove ci sia meno solidarietà  e più diritti. Abbiamo 350 volontari, oltre 3.000 persone che ogni anno ci danno del denaro, dai 10 euro in su, e che si scusano quando, come accade ora, il loro contributo si dimezza o peggio. Ma non sono i volontari a doversi sostituire allo Stato, non abbiamo la delega alla sofferenza. In questi anni la politica ha fatto troppi passi indietro, il nostro compito è quello di aiutarla a fare le scelte giuste. Ne ho parlato al ministro Fornero, le parlerò ancora”. Per curare un malato di Aids, o seguire un bambino che ha dovuto essere allontanato dai genitori, i volontari non bastano, occorrono medici, infermieri, psicologi, educatori professionali. Abele è (anche) l’unico gruppo che accoglie insieme madri in difficoltà  e bambini, e che ha percorso prima di tutti la strada difficile che non obbliga chi deve uscire dalla droga a separarsi da figli e compagni. 

Il Gruppo possiede solo l’ex fabbrica di corso Trapani, vincolata a fini sociali (“Non voglio che domani, spinti dalla crisi, possa venirci in mente di vendere a un supermarket, come ci hanno già  chiesto”). Il resto appartiene ad altri, come la Certosa di Avigliana, un ex convento benedettino ora gestito dal Gruppo per ritiri, formazione e convegni: a rilevarlo è stato Ream SGR, un fondo di investimento immobiliare collegato a Unicredit. Un ‘miracolo’, uno dei tanti, reso possibile anche dai buoni e discreti uffici di un ex top manager. Ma i miracoli non arrivano ogni giorno. E quando, una settimana fa, la professionista che tiene i conti e dirige le risorse umane ha annunciato “non abbiamo soldi per gli stipendi”, che mancano da novembre, l’umore nel fortino assediato di corso Trapani non è certamente migliorato.


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