by Editore | 6 Febbraio 2012 10:28
Roma è stata sommersa negli ultimi giorni da una discreta quantità di neve, è stata attraversata da un’enorme quantità di polemiche istituzionali ed è stata assistita da una piccola quantità di mezzi di soccorso.
In questa cattiva ripartizione di quantità consumata nella sua capitale, c’è la metafora di un Paese che sa sempre meno prevenire e sempre meno gestire le emergenze ambientali. Pagando un costo altissimo. Peraltro, dov’è il governo in questo momento? Qualcuno ha visto un ministro intervenire, dichiarare, organizzare? Se di emergenza si tratta, non si può scaricare tutto sul responsabile della Protezione civile o su un sindaco o sui gestori delle infrastrutture del Paese. È nelle difficoltà che un governo deve mostrare il proprio volto e le proprie capacità : questa è una regola che vale per tutti.
Detto questo, la “lezione di Roma” potrebbe aiutarci a non perdere altro tempo. E fare della prevenzione e gestione del territorio, non solo un’arma per aumentare la sicurezza (e non sarebbe poco), ma addirittura una leva di sviluppo economico? Ribaltare la condizione è possibile. Proprio ridistribuendo il rapporto tra quelle tre quantità di cui si diceva all’inizio. In primo luogo dobbiamo prendere atto che la “quantità di rischio ambientale” nei prossimi anni è destinata ad aumentare. Per due motivi. Uno legato ai cambiamenti del clima e al conseguente intensificarsi di eventi meteorologici estremi. Avremo nel nostro Paese più piogge torrenziali e più periodi di siccità , più erosione delle coste e più inondazioni, più frane, più onde di calore e, probabilmente, nevicate più rari ma più intense. L’altro motivo è legato alla mancata prevenzione del passato: che consiste di tante buone opere non fatte (per esempio la pulizia dei fiumi), di tante cattive opere fatte (cementificazione legale e illegale) e collasso della cultura del territorio. E così questo nostro territorio così ricco di beni paesaggistici, ambientali e culturali risulta nel complesso più fragile proprio mentre viene sottoposto a sollecitazioni più frequenti ed estreme.
In secondo luogo dobbiamo regolare la “quantità dei mezzi di soccorso” da mettere in campo. Non solo più spazzaneve o una miglior organizzazione per far giungere gli spazzaneve e gli altri strumenti tecnici dove servono quando servono. Comprese una rete elettrica e una rete ferroviaria e una rete stradale che non collassano quando nevica. Non solo restituire alla Protezione Civile la capacità di assolvere alle sue funzioni di coordinamento e di azione diretta, minata sia dall’interpretazione estensiva che ne ha dato per una luna stagione Guido Bertolaso sia da una legge (la n. 10 del 2011) che ne ha fortemente ridotto le possibilità di intervento. Occorre costruire una cultura della prevenzione concettualmente solida e tecnologicamente avanzata. Le nostre università sono in grado di fornire, come dire, le risorse umane per realizzare questa impresa. Le diverse e crescenti sollecitazioni cui sono sottoposti il nostro territorio e i nostri beni culturali ci offrono la possibilità di sperimentare sul campo organizzazione e tecnologie. Come sostengono autorevolmente Salvatore Settis e Luciano Gallino potremmo creare un’industria della prevenzione e della gestione del territorio e dei beni culturali capace di creare posti di lavoro qualificati e di esportare know how e prodotti all’estero.
Cosa resta da fare per trasformare questa proposta in un progetto? Beh, ridurre la terza quantità che si è manifestata in maniera inquietante durante le giornate innevate di Roma: l’incapacità istituzionale di affrontare in modo serio e solidale la prevenzione del rischio e la gestione dell’emergenza. Ma la polemica unilaterale del sindaco di Roma e del segretario del partito che ha la maggioranza relativa in Parlamento contro la Protezione Civile (mentre l’emergenza è in corso) farà il paio, sui media internazionali, con l’abbandono della Concordia del comandante Schettino, gettando ulteriore discredito sul Paese.
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