Il gelo sociale

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La neve copre, la neve scopre. Il messaggio dalla Siberia è roba da parafrasi, non per dilettanti. Carta bianca con inchiostro invisibile ad occhio nudo.

L’album che ne esce, dopo accurata e minuziosa manodopera in camera oscura, illustra un paese in cui la periferia e il piccolo borgo periferico contano poco meno di un fico secco. Quel che conta è essere sotto la luce della ribalta, perché con il riflettore puntato non è più questione di centimetri, di grandezze, di reale sostanza. Sfogliando le pagine, nuotando nel bianco candor, t’accorgi che il fallimento è tutto nostro, ove il “nostro” è inteso come decrepita e pericolante “Cosa Comune”. E così accade che il privato efficiente prevarichi il pubblico fatiscente: «La neve? Spalatevela da soli» dice Alemanno, alle prese con la sua personale –che qui tutto è personale- diatriba con la Protezione Civile.

Così accade che Trenitalia, uscita con le ossa rotte da un disastro organizzativo, punti il dito contro le infrastrutture, scaricando il barile maleodorante nella fossa comune. Per la serie: “mal comune mezzo gaudio”, mentre i media rincarano la dose e non perdono l’occasione per gettarsi a capofitto nella marea bianca, alimentando i consueti toni da Apocalisse. Il risultato è far passare un inverno particolarmente rigido per una collettiva Campagna di Russia, in un mondo allestito per colorare a tinte fosche ogni evento pubblico, e collettivo.

Quella “cosa pubblica” già  prezioso sgabuzzino ove riporre tutte le domande senza risposta, un po’ come i Greci con i fulmini di Zeus. Quella “cosa pubblica” denigrata e scossa, che sfigura davanti all’iniziativa che non è vera e propria iniziativa individuale, ma “iniziativa corporativa a pagamento”. Gli abitanti del piccolo borgo che fanno collette per gli spalaneve, i romani che si attivano per conto proprio. Quella “cosa pubblica” che non funziona più, così dicono. E allora, meno male che c’è il privato. Vero, Mario?

Lupomarziano.com


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