Il figlio di un ministro Usa “in trappola” al Cairo

by Editore | 1 Febbraio 2012 8:51

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GERUSALEMME – E’ rifugiato dietro le alte mura dell’ambasciata americana del Cairo un gruppo di cittadini statunitensi a cui le autorità  egiziane hanno impedito di lasciare la terra dei Faraoni. Sono tutti dipendenti di alcune ong – tra loro anche Sam LaHood, figlio del segretario ai Trasporti Usa – che hanno monitorato le recenti elezioni parlamentari egiziane. Il caso sta diventando un vero e proprio incidente diplomatico fra Stati Uniti e Egitto. Il segretario alla Difesa Usa Leon Panetta ha avuto una lunga conversazione telefonica con il maresciallo Mohammed Tantawi – il capo della Giunta militare – nella quale con toni duri ha chiesto che venga tolto qualunque impedimento alla partenza dei cittadini americani, adombrando la minaccia di interrompere i cospicui aiuti, oltre 1,5 miliardi di dollari l’anno, che Washington fornisce all’esercito egiziano. Il “caso” è anche sotto l’occhio attento della Casa Bianca che ha fatto trapelare «il disappunto» del presidente per quello che sta accadendo al Cairo. Il segno di un nuovo ulteriore abbassamento del livello delle relazioni fra i due Paesi. E’ stato Sam LaHood, direttore della Ong “International Republican Institute”, a raccontare che alcuni giorni fa mentre era all’aeroporto del Cairo in attesa di prendere un volo per gli Usa, al momento dell’imbarco è stato bloccato da un ufficiale dell’immigrazione che gli ha impedito di partire. Stando alla versione ufficiale fornita dalle autorità  egiziane gli americani sarebbero stati trattenuti in Egitto perché è in corso un’indagine sulle attività  delle loro organizzazioni per presunte violazioni delle regole sul finanziamento degli organismi noprofit. L’ambasciata americana, che si trova a cento metri da Piazza Tahrir, ha così aperto le sue porte per proteggere gli attivisti da un possibile arresto da parte della polizia egiziana. «Non hanno avuto la sensazione che la loro vita fosse in pericolo», dice il Dipartimento di Stato Usa, «ma questo non significa che non si siano sentiti, minacciati, braccati dalla giustizia egiziana». Il giro di vite contro le Ong in Egitto deciso dalla Giunta alla fine di novembre – destinato a contenere le decine di oscure organizzazioni islamiche (molte saudite) arrivate dopo la rivoluzione – si sta rivelando un boomerang per i generali. Gli Stati Uniti già  in novembre avevano espresso la loro «inquietudine» per quanto stava accadendo con le indagini sulle Ong, con perquisizioni, chiusure e arresti arbitrari.

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