Il Fattore Charme, l’economia del fascino discreto

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LONDRA – Non si può comprare, non si può insegnare, non si può imitare: eppure ne siamo tutti irrimediabilmente conquistati. In un mondo di segreterie telefoniche, casse self-service al supermercato e catene di ristoranti, alberghi, negozi tutti uguali, è il fattore che fa la differenza: ma è difficile dire cosa sia esattamente. In effetti in italiano non esiste nemmeno la parola per definirlo, siamo costretti a usarne una francese: “charme”. Viene da chiedersi se sia perché come popolo ne siamo sprovvisti, benché non manchino dimostrazioni, da Marcello Mastroianni a Mario Monti, che talvolta possiamo averlo anche noi. Secondo il dizionario significa “fascino, attrazione esercitata dalla personalità “. Secondo la rivista angloamericana Monocle sarà  il fenomeno del 2012: è arrivato il momento di riscoprire quest’arte perduta. In realtà  è sempre esistito, ma negli ultimi anni (o decenni) sembrava andato in disuso. Non era certo materia di studio per un Mba, i corsi per prendere un “master in business administration” e per poi fare più soldi possibile nelle banche, in borsa, nell’industria: pareva una dote inutile, obsoleta, nell’era della produttività  e del profitto, e ancora più inutile in quella di licenziamenti e sacrifici. Né ha avuto un grande ruolo nella rivoluzione tecnologica di Internet: e-mail, Facebook e Twitter hanno tanti pregi, ma comunicare anche solo un pizzico di charme attraverso i media digitali è un’impresa, forse impossibile. Come le buone maniere (altrimenti dette educazione), stava diventando un’attitudine vagamente ridicola: non a caso, in inglese, ormai si dice “charming!” (affascinante!) più che altro in tono sarcastico, l’equivalente di chi, ammirando una piazzetta o un paesaggio, commentasse, “molto pittoresco!”
Ma le crisi servono – o dovrebbero servire – a ripensare le scale di valori e il terremoto globale economico-finanziario iniziato nel 2007 (e non ancora finito) sta sprigionando un’offensiva di charme come mezzo per risalire la china. Gli Oscar hanno in lizza due film, entrambi insoliti, che ne sono stracarichi: il muto The Artist e il tridimensionale Hugo Cabret, per tacere della nomination come miglior attore a George Clooney, lo charme impersonificato, ma proprio per questo spesso paragonato a un divo del passato (e sorpassato) come Cary Grant. Nella moda, le collezioni primavera-estate sono piene di soffusi colori pastello, quadretti familiari siciliani d’epoca e seduzioni stile Jules et Jim, l’indimenticabile film con Jeanne Moreau contesa da due impacciati amanti: scelta decisamente “charming”, che prende le distanze dalla rude sensualità  di altre stagioni. In tivù la novità  più elettrizzante è Downton Abbey, sceneggiato vecchio stile impostato sul contrasto “upstairs, downstairs” tra l’aristocrazia al piano di sopra e la servitù a quello di sotto, nell’Inghilterra dell’800: e anche in questo caso la ragione del successo è lo charme, che non è una prerogativa di classe, può appartenere a una contessa come a un maggiordomo. Tanto è vero che l’ultimo numero del sofisticato settimanale americano New Yorker dedica un lungo ritratto a un ex pugile serbo trapiantato da trent’anni nella Grande Mela, dove conquista amabilmente clienti di tutte le età  e di ambo i sessi con il suo charme come barista del Fanelli Cafè, mitico bar all’angolo di Prince e Mercer street, nel quartiere di Soho.
«Sono i piccoli tocchi che contano, la capacità  di fare qualcosa con candore e sentimento, non perché te lo suggerisce un focus group come strategia di marketing», riassume Tyler Brà»lé, direttore del mensile Monocle, che mette lo charme in copertina definendolo la “buzzword” (altro termine che non troverete sui dizionari, perlomeno quelli di una volta: alla lettera significa «parola che suscita un brusio») dell’anno e pubblicando uno “charme index”, una lista di personaggi e luoghi che ce l’hanno. Tra i primi figurano, per fare qualche nome oltre al succitato Clooney, leader politici come Bill Clinton e Nelson Mandela, la principessa e futura regina Kate Middleton, il cantante Bono degli U2, l’imprenditore capellone Richard Branson. Tra i luoghi che vantano più charme l’indice segnala al numero uno il Rhà¤tische Bahn, antiquato trenino che attraversa l’Engadina («vista ineguagliabile, aria fresca delle Alpi e puntualità  svizzera»), al due l’ufficio dell’agenzia creativa Pentagram a Londra (in un ex lattificio restaurato), e al tre l’Osteria della Villetta a Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia (genuinità  gastronomica e tradizione famigliare): un mezzo di trasporto, un posto di lavoro e un ristorante, la santa trinità  del saper vivere con fascino. 
Poi l’elenco prosegue con una strada di Beirut piena di atmosfera (via Gemmayzeh-Mar Mikhel), una città  fuori dalle rotte abituali (Amburgo), un albergo con il sapore di un’abitazione (il Fasano di San Paolo del Brasile), un caffè stile anni ’50 (l’Ekberg di Helsinki), un aeroporto con inclusa sorgente naturale di acque termali (il Kagoshima in Giappone), un “general store” tipo quelli dell’epopea western (Brook Farm, a Brooklyn) e un’intera nazione, il Giappone, illustrato come il paese più “charming” della terra per l’autenticità  della sua gentilezza, efficienza, pulizia.
Come tutte le liste, naturalmente, anche questa è opinabile, soggettiva, imperfetta, ma lo scopo è solo sottolineare che lo charme viene dall’istinto, dalla passione, da una convinzione profonda, afferma la rivista. «È la polvere magica che spargi sulle cose», testimonia al volante della sua Bentley Patrick Renouf, “scudiero professionale”, come si autodescrive sul proprio sito, di fatto guida e chaffeur personalizzato, che conduce visitatori in cerca di qualcosa in più a scoprire una Londra differente, e che senza una buona dose di charme non potrebbe lavorare. «Può sembrare una virtù superficiale», afferma, «ma deve essere sincera, non puoi fingere di avere fascino, o ce l’hai o non ce l’hai». Onestà , integrità , semplicità , generosità  – sono tutti sinonimi di “charme”, conferma l’editoriale di Monocle. A cui aggiungere seduzione: lo scrittore Albert Camus chiamava lo charme «il modo per ottenere sì come risposta, senza dover chiedere espressamente qualcosa», e il filosofo Henri-Frederic Amiel lo definiva «quella particolare qualità  che, quando è posseduta da altri, ci rende inspiegabilmente più soddisfatti di noi stessi». Basta pensare al nostro Mastroianni, per capire ciò che intendono. Qualcosa di elusivo e inafferrabile, insomma, che però farebbe molto comodo a tutti, specie per rendere più sopportabile l’anno difficile che abbiamo da poco iniziato.


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