IL DOVERE DELLA NOTIZIA

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Per questo, pur prendendo atto della smentita congiunta di Palazzo Chigi e della Cgil a proposito dell’incontro segreto tra Monti e Camusso per concordare una riforma dell’articolo 18, non possiamo che confermare la veridicità  della notizia. Esprimiamo la massima considerazione nei confronti del presidente del Consiglio, di cui apprezziamo l’impegno profuso per mettere in sicurezza il Paese e modernizzare la sua economia. Abbiamo un profondo rispetto per il segretario generale del più importante sindacato italiano, di cui comprendiamo lo sforzo nel tutelare i suoi iscritti e al tempo stesso allargare la base della sua rappresentanza sociale anche ai giovani, ai precari e agli “invisibili” del mercato del lavoro. Ma vorremmo rassicurare entrambi.
Nel metodo, nella sua lunga storia Repubblica non ha mai avuto l’abitudine di «inventare» notizie «assolutamente infondate». Meno che mai per «forzare la mano» di qualcuno. Il compito di un giornale «onesto e indipendente», appunto, è sempre e solo quello di cercare informazioni, verificarle attraverso fonti sicure e attendibili, e poi pubblicarle. È quello che è accaduto anche in questa circostanza. La notizia di un faccia a faccia tra Monti e Camusso ci è arrivata da una fonte sicura e attendibile. Ci è stata confermata da ambienti autorevoli. L’abbiamo pubblicata, com’era nostro dovere, senza porci la solita, insinuante domanda che inquina da troppo tempo il discorso pubblico italiano: cui prodest? Non è un nostro problema. Un quotidiano ha un solo “giudice”, al quale rendere conto ogni giorno con la qualità  della sua informazione: il lettore. Tutto il resto non conta. 
Nel merito, né Palazzo Chigi né la Cgil possono smentire (e infatti non lo fanno) che il confronto sulla riforma dell’articolo 18 sia ormai prossimo a una svolta. Questo è, a prescindere dalle posizioni «note e stranote» della Cgil. Non si vede perché pubblicare un retroscena che spieghi questo livello più avanzato della trattativa debba essere interpretato come un tentativo di «far saltare il confronto» o di esercitare «pressioni improprie». Per confortare questa lettura vagamente complottista, tra l’altro, la Cgil incappa in un palese salto logico. Recita il comunicato: “Prima due fondi di Scalfari, ora una notizia falsa in prima pagina: chi vuole forzare la mano?”. La risposta è: nessuno. E non si vede quale possa essere il nesso tra il retroscena di Claudio Tito pubblicato ieri e gli editoriali di Eugenio Scalfari pubblicati la settimana scorsa. La prima è una notizia, i secondi sono opinioni. 
Con una notizia non si può polemizzare. Su un’opinione si può discutere, come in effetti ha fatto la Camusso, rispondendo per lettera al nostro giornale e confutando la tesi di Scalfari sul riformismo di Luciano Lama. Quello che non si può fare è collegare idealmente e strumentalmente le due cose. Come se Repubblica avesse orchestrato una qualche oscura e misteriosa “campagna”. Per fare cosa, poi? Mettere la Cgil con le spalle al muro, per aiutare il governo (come sembrava trasparire tra le righe nella lettera di risposta della Camusso al primo editoriale di Scalfari)? O far saltare la trattativa con le parti sociali, per sabotarlo (come sembra emergere dal comunicato stampa di ieri)? Nessuna forzatura, nessun sabotaggio. Solo libera e corretta informazione. Se poi da tutto questo scaturirà  un buon accordo per modernizzare il nostro mercato del lavoro, senza far strage dei diritti ma estendendoli a chi non ne ha alcuno, sarà  tanto meglio per l’Italia.


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