Il diritto del più forte

by Editore | 22 Febbraio 2012 9:06

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Hanno ucciso in acque indiane o internazionali? In quest’ultimo caso sono sotto giurisdizione italiana. Vista la reazione delle autorità  italiane questo si può tradurre facilmente in impunità . Ancora una volta si parla di avvertimenti, quali avvertimenti (luci, spari in aria) e contro chi? Avvertimenti che se anche ci fossero stati non sarebbero nemmeno stati compresi da pescatori che nulla avevano a che fare con logiche militari in acque non abituate ad atti di pirateria.
Per di più, non esistono regole d’ingaggio codificate per i militari a bordo delle navi commerciali, mentre la responsabilità  dovrebbe essere dello stato, in questo italiano, invece la nave è sotto il controllo di civili e quindi del comandante, che però non può dare ordini ai militari.
Il problema della pirateria in mare ha indotto l’Onu a emanare una convenzione che però non prevede l’uso della forza. Tocca dunque ai singoli stati derimere la questione, permettere, come ha fatto l’ex-ministro La Russa, l’imbarco sulle navi battenti bandiera italiana di militari – d’élite come i marò – oppure, come hanno scelto altri paesi, contractors. Come sempre i contractors sfuggono ancora più facilmente a qualsiasi regola. 
Il caso dei marò è di estrema gravità  perché sancisce il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata: la guerra si trasferisce dai paesi sotto occupazione alle acque più o meno internazionali, poco importa. Importa solo se c’è uno stato che intende far valere la propria territorialità . Come sempre l’uso delle protezioni armate non esclude i pericoli e aumenta l’uso indiscriminato della forza. 
Su questi temi esiste un complesso dibattito a livello internazionale, che non sembra tuttavia infervorare l’Italia se non quando ad essere coinvolti sono i nostri militari. Anche perché siamo fin troppo abituati a rinunciare alla nostra sovranità  quando a colpire sono i militari di un paese più forte (soldati Usa nel caso del Cermis, Mario Lozano nel caso Calipari). Ma nei confronti dell’India ci consideriamo noi i più forti e quindi pronti a far valere l’obsoleta consuetudine dello zaino o della bandiera (un militare risponde solo al paese di provenienza) e considerare danno collaterale la morte di due pescatori indiani disarmati e senza nessuna velleità  piratesca, del resto disarmati non lo eravamo anche noi, a bordo della Toyota Corolla quella notte del 4 marzo 2005, nei confronti dei soldati americani? Se ci siamo permessi di lasciare impunita l’uccisione di Nicola Calipari perché non dovremmo farlo nei confronti di due poveri, sconosciuti pescatori indiani?

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