Il dietrofront degli scienziati “Non è vero che i neutrini sono più veloci della luce”
ROMA – Sei mesi di ricerche continue. E alla fine l’errore è saltato fuori negli strumenti che a settembre osservarono i neutrini più veloci della luce. I problemi di Opera – il sofisticato esperimento dei laboratori del Gran Sasso – sarebbero in realtà due. Il paradosso è che producono effetti contrastanti: uno renderebbe la velocità dei neutrini ancora più alta, il secondo invece li rallenterebbe.
Nel rivelatore costruito per dare la caccia alle elusive particelle, un connettore della fibra ottica che trasmette il segnale del Gps a un computer non era avvitato alla perfezione. E anziché semplicemente impedire il passaggio dell’impulso, ne alterava il tempo di percorrenza dando l’impressione di un aumento di velocità dei neutrini. Un secondo problema individuato dagli scienziati di Opera riguarda invece la sincronizzazione dell’orologio del Gps dei laboratori del Gran Sasso con quello del rivelatore stesso.
Non è affatto chiaro quanto le due interferenze combinate fra loro incidano sul risultato che con grande eccitazione lo scorso settembre era stato annunciato nell’auditorium del Cern di Ginevra. Dalla Svizzera infatti viene sparato il fascio di neutrini diretto verso il Gran Sasso. Opera, catturandoli, si occupa di studiarne la natura ma casualmente scoprì che il tempo che queste particelle impiegavano a percorrere i 730 chilometri di distanza era di 60 nanosecondi inferiore rispetto al tempo che avrebbe impiegato la luce. Ai neutrini fu attribuita la capacità di infrangere una velocità che la teoria della relatività speciale di Einstein riteneva insuperabile.
Che un errore potesse essere nascosto nelle pieghe dell’esperimento nessuno lo aveva mai escluso. La caccia era partita fin da subito, insieme alle scommesse dei fisici di tutto il mondo e alle speculazioni dei teorici per provare a spiegare un risultato così straordinario. Il responsabile di Opera, Antonio Ereditato, aveva subito annunciato: «Continueremo a controllare ogni dettaglio della nostra misurazione. E invitiamo gli altri laboratori del mondo che si occupano di neutrini a ripetere la prova».
Sia l’esperimento americano Minos che quello giapponese Superkamiokande si stavano attrezzando per misurare la velocità delle loro particelle in maniera simile a quanto fatto da Opera. «E i loro dati restano necessari, perché non è ancora chiaro l’effetto complessivo dei problemi riscontrati al Gran Sasso» spiega Sergio Bertolucci, direttore della ricerca del Cern. Per Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, che gestisce i laboratori nel cuore della montagna abruzzese, sarà opportuno ora «confrontare le misurazioni di Opera con quelle degli altri strumenti del Gran Sasso per capire quanto grande è lo scarto provocato dal difetto».
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