Il debito dei mondiali di nuoto e il timore di ripetere il flop

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Un passo indietro. Vennero assegnati nel luglio del 2005 a Montreal. Favorita era Yokohama, ma la delegazione italiana, con il presidente del comitato promotore (e poi organizzatore) Giovanni Malagò, il rappresentante del Comune di Roma (allora il sindaco era Walter Veltroni) Gianni Rivera e il presidente della Federnuoto Paolo Barelli, giocarono meglio la partita tra conoscenze, simpatia e fascino di Roma. Nel documento presentato alla Federazione internazionale, il programma prevedeva due poli: il rinnovato Foro Italico e il nuovo impianto di Tor Vergata denominato Aquatic Centre e disegnato da Santiago Calatrava. Ovviamente a Tor Vergata non si è vista una bracciata. Tutto (a parte il nuoto in acque libere) è stato concentrato nell’area del Foro Italico. Come spesso succede in Italia presto si verificarono ritardi e polemiche che sfociarono, a qualche mese dall’inizio (18 luglio), nello scontro aperto tra Barelli e Malagò, che produsse una moltiplicazione dei ruoli chiave (2 per una seggiola): nessuno si fidava dell’altro. I quindici giorni di gara furono impeccabili (a parte una mareggiata a Ostia): neanche una sbavatura (nell’organizzazione). Il peggio doveva arrivare. Il passivo di bilancio ( 8,6 milioni di euro) ha prodotto infinite discussioni su chi e quanto dovesse pagare. Alcuni fornitori sostengono di non essere stati ancora saldati. E poi ci sono le inchieste della magistratura sulle opere non direttamente collegate ai Mondiali in senso stretto, cioè le piscine pubbliche e private costruite sfruttando l’evento, che hanno coinvolto la cosiddetta «cricca» a cominciare dal commissario del Mondiale 2009, Angelo Balducci. Ci sono stati sequestri (11 piscine) poi dissequestri e l’inchiesta è ancora in corso. Ci sono due centri federali, Ostia e Pietralata, che ora lavorano ma hanno stentato e uno, Valco San Paolo, che non ha mai aperto. Ci sono soldi pubblici finiti chissà  dove o mal gestiti. La solita storia. Per cinque piscine a posto ce ne sono cinque che non funzionano o che funzionano male. Mentre Monti rifletteva su questa acqua agitata, 40 milioni «avanzati» dall’Olimpiade di Torino 2006 sono stati destinati alla «valorizzazione delle valli e dei comuni montani sede delle Olimpiadi invernali del 2006». I deputati piemontesi, tutti d’accordo, temevano che finissero nel calderone di Roma 2020. Insomma, nessuno si fidava della candidatura, non solo il premier.


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